Intenso

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Quando Jeon Jeongguk ebbe l'idea di come iniziare le vere ricerche del ragazzo che, solo con la sua voce e la sua risata, gli era entrato sotto pelle, stava frequentando passivamente un'ora di matematica. Era seduto nel terzo banco della fila a destra della cattedra, attaccato al muro. Il viso, dai lineamenti marcati e allo stesso tempo timidi, era volto nella direzione della professoressa, impegnata nella spiegazione di un nuovo argomento, in una posizione di ascolto. I piedi incrociati sotto la sedia all'altezza delle caviglie toccavano terra con la punta, perpendicolari al suo bacino, e le braccia poggiate sul banco erano unite dalle mani incrociate tra loro. Le spalle leggermente incavate, mettevano in risalto, senza che nemmeno se ne accorgesse, una piccola parte di pelle lasciata scoperta dallo scollo comune della maglietta. Un quaderno notevolmente vissuto senza copertina, recentemente staccatasi da quest'ultimo a causa del continuo piegarla su se stessa, usato per tutte le materie, era abbandonato vicino alle mani lunghe e affusolate, con sopra poggiata una penna nera senza tappo. La posizione del corpo mostrava interesse e ascolto, ma non i profondi occhi castani. Infatti, questi, erano incatenati all'orologio appeso con cura, sopra le lavagne, ammaliati dal continuo spostamento a scatti della lunga lancetta rossa segnante i secondi. Ne era come ipnotizzato: le iridi seguivano fedelmente la linea in movimento, come questa seguiva lo scorrere del tempo, mostrandolo al ragazzo. Jeongguk stava aspettando con ansia e fibrillazione che il relativo silenzio all'interno della classe, disturbato solo dalla voce stanca dell'insegnante e dal continuo ticchettio di una penna su un banco, venisse squarciato dallo squillante suono della campanella. Ormai mancavano pochi minuti, al momento tanto atteso. Si mise a seguire ancora più intensamente quella lancetta sottile, ogni movimento della quale consisteva a un secondo in meno di attesa, per tornare davanti alla spessa porta verde dell'aula 206H, dove ogni volta, ogni giorno, sperava di risentire quella voce, quella risata. I bianchi denti iniziarono ad affondare nel roseo labbro, rendendolo, pian piano, con l'andare avanti dei secondi, rosso come le rose, che tanto, un giorno, avrebbe voluto esser in grado di porgere al ragazzo dei suoi pensieri. Si chiese se gli piacessero le rose, oppure se preferisse i girasoli, o le margherite. Si disse che magari i fiori non gli piacevano proprio. Pensò anche che avrebbe potuto chiedere al pianista, magari era amico del ragazzo e lo poteva aiutare. Fu in quel momento, nell'esatto secondo dove il trillo della campanella fece la sua comparsa, a venirgli l'idea. Come aveva fatto a non pensarci prima? Era così ovvio, così semplice. Così scontato. Jeon Jeongguk non si era mai sentito così sciocco, prima di quel momento. Aveva realizzato tutto nei secondi durante i quali la campanella aveva fatto il suo dovere. Era rimasto seduto nella stessa posizione che aveva quando fissava il bianco orologio. Anche adesso i suoi occhi erano rivolti all'orologio, esattamente come il suo corpo dimostrava attenzione ad una lezione non più spiegata, ma i suoi occhi non vedevano più l'oggetto su cui erano posati. I suoi occhi non vedevano niente, in effetti. Si riscosse esattamente quando la campanella si rimise a dormire, e scattò. Velocemente, prese la penna nera senza tappo, che era sopra il quaderno, e la mise senza tanta cura nel logoro astuccio grigio, il quale lo aveva accompagnato per quasi tutto il suo percorso scolastico; arraffò il quaderno da poco senza più la copertina, e lo buttò, senza neanche guardare, insieme all'astuccio, dentro lo zaino nero vissuto, che era portatore di molti ricordi felici della sua vita. Quest'ultimo, preso per una bretella, se lo poggiò su una spalla sola, facendolo urtare contro i suoi lombi. Il passo ritmato lo condusse, senza quasi accorgersene, alla segreteria riservata agli studenti. Lì, trovò una donna sulla mezza età molto gentile, la quale rispose alla sua domanda, senza alcuna esitazione. Jeongguk era quasi euforico: finalmente sentiva di far qualcosa veramente, per trovare il ragazzo. Raggiunse senza tanti preamboli la sala professori, ed educatamente chiese se la professoressa, indicatagli dalla simpatica donna di mezza età della segreteria studenti, fosse ancora lì. Ricevette un segno affermativo direttamente dalla donna in questione, che lo guardava un po' confusa, non essendo uno studente dei suoi corsi. Jeongguk si presentò, e fece la domanda per la quale aveva corso per mezza scuola e saltato un appuntamento, anche se a senso unico, mai dimenticato in due mesi. In fondo, quanti ragazzi potevano esserci nella scuola, abbastanza bravi a suonare il pianoforte per accompagnare una voce tanto particolare?

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