#13

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· Levi ·

La donna non mi degna di uno sguardo, continuando a leggere svogliatamente alcuni fogli contenuti nella cartellina aperta, dinanzi a sé.

- Levi Ackerman -

Tutto il mio essere si riduce ad una fottuta targhetta su un fascicolo del cazzo.

I miei ricordi, le mie esperienze, le persone, le sensazioni, i miei sentimenti erano semplici parole stampate su carta. Non c'era nulla di me, scritto lì sopra, eppure a lei sembrava di conoscermi in modo sufficiente da non porre alcuna domanda, e a me andava bene così.

Di Levi, come figlio, erano rimaste solo le ceneri di mia madre. Il Caporale Ackerman, invece, era morto ben due volte in quel deserto: quando avevo perduto la famiglia che mi restava e quando avevo abbandonato la mia umanità, in quella gelida grotta nascosta tra le montagne sabbiose.

«Allora, ha notato cambiamenti nel suo umore di recente?» chiede lei con tono indifferente. La sua non è vocazione, né un gesto caritatevole, ma solo un lavoro ben retribuito dal governo.

«No.» rispondo incolore, per nulla intenzionato a raccontarle gli avvenimenti dell'ultimo periodo. Ciò di cui è a conoscenza è più che abbastanza per ottenere ciò che odio con ogni fibra del mio essere, ma che è necessario al mio precario equilibrio mentale.

«Per ciò che concerne il riposo notturno?»

«Non dormo.»

«Bene.» afferma, annotando qualche stronzata ed aprendo poi un cassetto della sua scrivania, estraendone un paio di confezioni di un arancione brillante che conosco fin troppo bene.

«I dosaggi sono sempre gli stessi.» afferma, come se il suo fosse un commento sul tempo e non mi stesse consegnando sonniferi ed ansiolitici.

Raccolgo i flaconi, e mi allontano senza accennare il benché minimo gesto di saluto. Sono solo un'ombra di passaggio, nella sua vita, e reputo inutile scambiare certi convenevoli. Lei deve pensarla allo stesso modo, perché non accenna nemmeno a sollevare lo sguardo mentre esco dalla porta del suo studio, superando l'odiosa targa dorata che conosco ormai a memoria.

Dott.ssa Rico Brzenska

Psicologa e Psicoterapeuta

·Eren·

«Qualcosa non va, Eren? È da un po' che ti vedo strano... Mi sembri abbattuto.» la voce dolce di Nanaba mi riscuote dai miei pensieri. Erwin ha avvisato che avrebbe fatto più tardi al lavoro e, dopo aver messo in ordine tutto l'occorrente per il primo appuntamento della giornata, sto girovagando per lo studio con la testa tra le nuvole.

«Eh? Scusami, ero distratto.» le sorrido colpevole. Mi piace molto chiacchierare con lei, é una persona gentile e riservata.

Nanaba accarezza il pancione, che nelle ultime settimane è cresciuto ancora, e mi osserva con fare preoccupato.

«Dicevo che é da un po' di tempo che sei giù di morale...»

«Non é nulla, non preoccuparti!» cerco di rassicurarla, con scarso successo a quanto pare, perché la sua espressione si intensifica.

«Allora, hai già preso il corredino?» domando, tentando di sviare il discorso.

«Sì, mancano solo le ultime cose.» il suo viso si illumina al pensiero della piccola in arrivo ed io vengo in parte contagiato dalla sua felicità, quando sento un gran baccano provenire dalla stanza in cui lavora il marito.

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