17. Dammi un pallone e ti dirò chi sei

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Lei rispose a tono. «Non ti ho chiesto di farlo. Posso batterti ugualmente, Paulo Dybala.» Lui spalancò la bocca, come scioccato dal suo ardire, ed entrambi scoppiarono a ridere.

Paulo fu galantuomo e le lasciò il primo tocco di palla; i due iniziarono a giocare, rincorrendosi e ridendo, Adua che mandava a segno la palla e Paulo che si improvvisava portiere. Se un giorno qualcuno le avesse detto che avrebbe giocato a calcio con Paulo Dybala, lo avrebbe preso per pazzi.

«Questo era fallo! Calcio di rigore!» urlò lui, tra le proteste della ragazza.

«Ma se non ti ho neanche toccato! Sei un attore pessimo, Paulo.» Rise.

«Non ci provare! In porta, calcio di rigore.» Paulo si posizionò a dieci metri di distanza; la ragazza appoggiò le mani sulle ginocchia, curvandosi in avanti, pronta a parare. Lui fece un paio di passi indietro, prese la rincorsa e tirò: parata.

«Oh-ho, la incredibile Joya fermata da una ragazza qualunque!» lo prese in giro, vantandosi della vittoria.

Paulo scosse la testa. «Tu non sei una ragazza qualunque.»

Adua non rispose, spiazzata, ma Paulo la tolse d'impiccio prendendo di nuovo la palla e preparandosi a tirare di nuovo. Iniziarono a giocare così; dieci tiri a testa e poi si scambiavano la posizione, uno tirava e l'altro parava. Risero un sacco, tra i tentativi maldestri di Adua nel parare la palla e Paulo che provava a tirare col destro facendola finire tra gli alberi. Poi il ragazzo iniziò a palleggiare, col piede, col petto, con la testa, senza mai far cadere la palla, e Adua contava i suoi palleggi; quando lui la fece cadere lo pregò di insegnarle.

«Beh, non c'è molto da insegnare, in realtà; devi solo avere occhio attento alla direzione che prende, e cercare di non sbilanciarti troppo.» Fece un paio di palleggi come dimostrazione, poi le passò la palla; Adua la prese al volo, iniziando a palleggiare col ginocchio destro, poi col piede, poi prendendola con la spalla e il petto prima di colpirsi in testa.

«Ahia!» si lamentò, toccandosi la testa e scoppiando a ridere insieme a lui.

«No, comunque sei andata davvero bene. Impari in fretta» le disse ammirato. Lei arrossì fino all'attaccatura dei capelli, riprendendo la palla e provando di nuovo.

Nel frattempo il sole tramontava; essendo ancora aprile non potevano contare su quelle lunghe giornate di luce, e il cielo rossastro del crepuscolo li colse sdraiati sull'erba, Adua la testa sul borsone e Paulo appoggiato al tronco di un albero, a chiacchierare.

«È stato stupendo, Paulo. Mi sono divertita tanto» gli disse sinceramente, guardandolo negli occhi. Lui le sorrise, asciugandosi la fronte con uno degli asciugamani che si era portato dietro.

«Non immagini io. Era da tanto che non lo facevo.» Fissò davanti a sé, perso nei suoi pensieri.

«Cosa, giocare a calcio? – lo prese in giro, guadagnandosi l'asciugamano bagnato in piena faccia. – Ugh! Che schifo!» Risero.

«No. Divertirmi così tanto, stare bene con qualcuno. Parlare» le rispose, cambiando posizione e sdraiandosi accanto a lei, ma a pancia in giù.

Adua fissò il cielo sopra la sua testa. «Mi fa piacere.»

«Anche a me.» Il suo tono era dolce. Adua lo guardò negli occhi, e si domandò quanta pressione dovesse effettivamente sopportare un ragazzo così giovane sulle sue spalle.

«Lo sai, non avrei mai creduto che questo fosse possibile» gli confidò, indicando con un gesto loro due.

«Perché? Abitiamo nella stessa città, abbiamo le stesse passioni, siamo due ragazzi quasi della stessa età. È tanto strano che ci siamo conosciuti?» fece lui, avvicinando il volto al suo.

The Mask | Paulo DybalaOnde histórias criam vida. Descubra agora