VIII

2.6K 207 23
                                    

Quando la porta di casa si spalancò, Louis ordinò a se stesso di essere forte

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Quando la porta di casa si spalancò, Louis ordinò a se stesso di essere forte.
Harry era davanti a lui forse più bello di quanto ricordava, sebbene fosse trascorsa solo una settimana da quando lo aveva visto l'ultima volta, e gli sorrideva.
Harry gli sorrideva mentre lui moriva dentro.
Per quanta rabbia gli procurasse quella consapevolezza, non poteva davvero fare nulla contro il suo cuore che aveva perso ogni controllo nell'esatto instante in cui se l'era ritrovato davanti.
Lo afferrò stringendo le dita nella camicia che indossava e la sua bocca, senza neppure schiudersi per proferire un saluto, si abbatté sull'altra con la potenza di un pugno. Affondò una mano nei suoi capelli, strappandogli via quell'insulsa bandana che li teneva fermi e li tirò, li strattonò, premendo con ferocia la bocca sulla sua, strofinando le labbra con rabbia. Coinvolti in quel bacio spinto al limite di ogni emozione, girarono su se stessi fino a che Louis poté spingerlo contro alla porta di casa sua che si richiuse con un tonfo secco e assordante che fece trasalire entrambi.
«Quanta impazienza» disse Harry, ormai senza fiato, già sopraffatto dalle sue mani che avevano iniziato a spogliarlo da tutto, senza seguire alcun ordine logico.
Le dita gli tremavano mentre con efferatezza sbottonava dapprima i jeans per poi correre ad afferrargli il collo e stringerlo, piegarlo indietro per poterne macchiare la pelle nivea che tanto nivea non lo era più. Louis non era più cieco, la cecità che per tutti quei mesi lo aveva reso incapace di guardare in faccia la realtà era sparita e con crudele chiarezza ora riusciva a vedere ogni cosa: un graffio dietro ad un orecchio, il labbro spaccato e non dai suoi denti, una macchia scura che non erano state le sue labbra a tracciare, all'altezza della clavicola destra...
Harry racchiuse il suo volto tra le mani, costringendolo a guardarlo negli occhi. «Quanto mi sei mancato» ruggì con la sua voce.
«Ti sono mancato?»
Il suo masochismo aveva raggiunto picchi elevatissimi oramai e quella domanda, a cui avrebbe voluto dare un'impronta retorica, suonò disperata.
Harry non rispose, si fiondò sulla sua bocca e questa volta le loro lingue si incontrarono dopo tutto quel tempo, si riconobbero subito e fu doloroso per Louis riassaporare quel sapore e considerarlo ancora suo, solo suo.
«Voglio parlarti di una cosa» ansimò Harry, graffiandogli la pelle delle spalle. Lui neppure lo ascoltò, troppo disperato, troppo arrabbiato e desideroso di prenderlo e farlo di nuovo suo, per permettergli di interrompere quel bacio.
«Dopo» ordinò, annaspando alla ricerca di aria e gemette nella bocca di Harry quando la sua schiena sbatté contro la parete accanto alla porta, ritrovandosi issato da terra e tenuto saldamente dalle braccia forti e possessive dell'altro; per puro istinto allacciò le gambe attorno alla sua vita, la testa piegata all'indietro perché Harry sembrava affamato del suo collo, lo lambiva e baciava come se avesse potuto morire da un momento all'altro se non lo avesse fatto.

Louis gemeva sentendosi legato da un braccio del ragazzo a circondargli la schiena, il palmo dell'altra mano a raccogliere un gluteo mentre lui ondeggiava smanioso, nei pantaloni sottili della tuta che gli permettevano di percepire il principio di erezione dell'altro premere con insistenza nel solco tra le sue natiche. E anche Harry, ogni qualvolta si ritrovava a tirarselo addosso per non farlo scivolare giù, dava il via ad una frizione estenuante che strappava l'aria dai polmoni di entrambi. Le sue mani correvano dappertutto, senza meta, stringevano le spalle, graffiavano tra le scapole, tiravano forte i capelli, avvolgevano e imprigionavano. Louis la sentiva montare dentro di sé, esponenzialmente la sua eccitazione, ad ogni bacio a labbra aperte e lingue esposte, che lambivano in maniera oscena non solo la bocca ma parti di mento, mascella, i denti mordevano e i loro fianchi sfregavano smaniosi nonostante l'apparenza scomoda della loro posizione. I gemiti di Harry, dovuti ai morsi sulla carne della sua spalla esposta e per lo sforzo di tenerlo sollevato da terra, erano veri ringhi sommessi che lo facevano ansimare e scuotere da dentro, rabbrividire.
«Andiamo a letto» ordinò Louis, ad un certo punto, staccandosi dalla sua bocca, dal suo corpo, rimettendo i piedi per terra. Aveva bisogno di aria.
Harry annuì, folle, il desiderio a rendere le sue pupille due pozzi neri.
«Niall non ci disturberà?» domandò seguendolo attraversò il salotto - tenendolo per un braccio come se potesse scappargli - superando la cucina per raggiungere la camera da letto.
«È via con Eleanor», loro viaggiano insieme avrebbe voluto dire, ma lo pensò soltanto. Quando entrarono nella stanza Harry gli si avvicinò con passo felpato, abbracciandolo da dietro, annusando l'odore dei suoi capelli sprofondandoci il naso dentro.
«Quanto mi è mancato il tuo odore» bisbigliò ad un suo orecchio, per poi baciarlo piano, fino a raggiungere la guancia con le labbra soffici e umide.
Louis strinse gli occhi e dovette obbligarsi, con dolore, di non lasciare alle lacrime di prendere il sopravvento perché non poteva permetterselo.
Harry fece per baciargli la guancia, le dita già pronte per sfilare via la sua canottiera nera ma Louis si irrigidì, allontanandosi impercettibilmente. Si voltò con un sorriso che faceva male quanto uno schiaffo in pieno volto e con le mani premute sul suo torace lo spinse lontano da sé, facendolo ricadere malamente sul letto.
«Spogliati» gli ordinò, avvicinandosi al suo armadio. Aveva il respiro accelerato e sapeva lo sarebbe stato ancora per molto.
L'altro dopo qualche secondo inspirò bruscamente, sembrava d'un tratto frustrato, «Facciamolo insieme, vieni qui e...» provò a dire.
Louis fu più veloce. «Ti ho detto, spogliati» ripeté zittendolo, questa volta non c'era alcun sorriso nella sua voce ma solo un ordine. Il ragazzo alle sue spalle smise di protestare e fece come gli era stato ordinato. Louis trafficò tra i suoi jeans ripiegati dove, da una delle tante tasche, ne cacciò fuori dei preservativi che non aveva mai usato perché non ce n'era stata l'occasione e se pure si fosse presentata non avrebbe mai neppure preso in considerazione l'idea di concedersi a qualche sconosciuto. Semplicemente non poteva, non quando il suo cuore oramai era già stato preso sotto assedio da qualcun altro.
«Ti sei portato dietro i preservativi mentre non c'ero?»
Quando la voce di Harry gli graffiò la schiena, vertebra dopo vertebra, un ghigno deformò le sue labbra mentre provava un sadico moto di soddisfazione per essere riuscito nel suo piccolo intento: fargli credere di essere andato in giro a riempire il vuoto che lui stesso aveva lasciato, come se fosse stato possibile. Si voltò trasformando quel ghigno in un'espressione ovvia.
«Non avrei dovuto? Bisogna faresesso protetto» e il modo in cui rimarcò quella parola arrivò ad Harry come una pugnalata, ne era sicuro dal modo in cui gli angoli della sua bocca si piegarono all'ingiù e dall'espressione ferita che gli apparve in viso.
Era ferito. Lui?
Con quale pretesa credeva di poter avvalersi di certi diritti? Louis sentì di odiarlo con tutta l'anima, e più lo odiava e così anche l'odio verso se stesso cresceva perché detestava la consapevolezza che quel sentimento tanto forte altro non era che la seconda faccia dell'amore.

Inchiostro invisibile su pagine già scritte | Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora