«Comunque l'altra volta scherzavo, ma ora che l'ho visto di persona, Tommo, una botta gliela darei per davvero».
Queste furono le prime parole che gli rivolse Niall che se ne stava sul divano tra Sophia e la sua ragazza. Eleanor alla battuta di Niall rise di gran gusto, lasciandogli uno scappellotto sulla nuca.
«Ha dei capelli splendidi, e poi ha le trecce! Già mi piace un sacco» aggiunse Eleanor.
Trecce. Che cosa...? Aveva sicuramente capito male o Eleanor era troppo fumata, il suo ragazzo aveva una brutta influenza su di lei. Decisamente.
«Dov'è? Fino a poco fa era qui» borbottò con tono acido Louis, adocchiando malamente il suo coinquilino e la ragazza al suo fianco. Fu Sophia a rispondere.
«Ha detto che andava a prendere qualcosa da bere, presumo ora sia in cucina». La ragazza fece una pausa e quando Louis stava per voltare loro le spalle e andare verso la cucina, lo richiamò a gran voce.
«Louis!»
Si voltò stizzito, aveva fretta, perché tutti parevano ostacolarlo?
La ragazza di Liam, i capelli morbidi e lucenti adagiati su di un lato, gli sorrise. «Non lasciartelo sfuggire».
Con un'alzata di occhi al cielo e uno sbuffo, Louis pensò che fossero tutti impazziti. Davvero. Non sapeva neppure quale fossero le sue preferenze, insomma, se stesse con qualcuno o semplicemente se l'attrazione che lui provava fosse anche in minima parte ricambiata. Erano tutti impazziti, non aveva alcun dubbio.

«Eccoti, finalmente».
La voce di Harry arrivò insieme allo scontro, infatti Louis gli finì dritto addosso, contro il suo torace ampio. Voleva morire. L'odore di Harry gli riempì subito i polmoni, poi, un attimo dopo, gli diede il capogiro. Era una fragranza gentile e forte al tempo stesso, qualcosa di unico perché era ben fusa all'odore di dopobarba e pelle.
«Stai bene?» domandò il ragazzo con premura, posandogli le sue ampie mani sopra alle spalle, per rimetterlo in equilibrio. Aveva una t-shirt rossa a righe orizzontali nere che gli fece pensare a Freddy Krueger (per quel pensiero si ritrovò a ridere, non preoccupandosi di apparire poco lucido).
«Ciao» mormorò poi, cercando di darsi un minimo di contegno.
«Sei venuto alla fine eh». Cristo santo, non avrebbe voluto proprio farlo ma dopo quella sua frase tanto ambigua, l'erba decise per lui, così si ritrovò a sogghignare con gli occhi lucidi e le pupille dilatate in stile manga.
Vide Harry leccarsi un labbro, lo sguardo puntato sulle sue labbra ancora piegate in un ghigno e a sua volta sorrise in maniera languida e divertita.
«Sì, mi sono liberato dall'impegno e sono corso qui. Mi andava di vederti».
Ora Louis non aveva più dubbi, era ufficialmente entrato nella seconda fase dell'ubriachezza, quella in cui si iniziava a perdere il contatto con la realtà e a vedere o sentire cose che erano solo frutto della propria mente.
«Ora che ci penso mi gira un po' la testa» ammise, rispondendo in maniera disconnessa alla domanda che Harry gli aveva fatto pochi attimi prima.
Con un gesto del capo indicò al ragazzo la porta finestra in fondo al salotto.
«C'è troppa gente qui dentro, è meglio se usciamo in terrazza, non deve esserci nessuno lì fuori visto che sono tutti qui». Harry annuì e in silenzio lo seguì, attraverso la calca di persone. Louis durante il breve tragitto si sforzò di non pensare all'acconciatura che aveva avuto solo modo di intravedere sul capo del ragazzo.
Una volta fuori la brezza della notte li travolse spazzando via il torpore dovuto all'aria viziata respirata sino a poco prima all'interno della casa. Il passaggio da caldo a freddo fu abbastanza forte da dare ad entrambi dei brividi lungo le braccia scoperte, ma a quanto sembrava nessuno dei due appariva propenso all'idea di rientrare anche solo per recuperare qualcosa con cui coprirsi. Erano gli unici in terrazza, come Louis aveva pronosticato; evidentemente nessuno era tanto coraggioso come loro da affrontare le temperature notturne di inizio novembre. Il cielo era completamente nero, le luci artificiali della città non permettevano ad occhio nudo di poter scorgere alcuna stella. L'odore lontano di pioggia pizzicava le narici, anticipando un possibile temporale, il cielo ogni tanto si illuminava per via di lampi sporadici. La terrazza non era grandissima ma ci stavano sia un piccolo tavolo in un angolo che un lettino da giardino. Louis osservò Harry sedersi sul largo parapetto ed essere incredibilmente a suo agio, come se dietro di lui non ci fosse stata un'altezza di ben cinque piani. Rabbrividì solo a quella vista, da dove se ne stava disteso per metà sulla sdraio.
«Dici che è al sicuro la mia moto qua sotto?»
Harry aveva appena sfilato dalla tasca posteriore dei suoi jeans spietatamente stretti un pacco di tabacco. Louis lo guardò con le sopracciglia alzate e ciò che rispose fu tutt'altro.
«Hai una moto?»
Il ragazzo armeggiò con un filtrino e una cartina.
«Una Harley Davidson, era di mio padre», la voce si affievolì appena verso la fine.
Quel ragazzo ai suoi occhi diventava sempre più interessante, la curiosità di conoscere quanti più dettagli possibili della sua vita cresceva ad ogni minuto. Il fatto poi che gli parlasse senza guardarlo negli occhi, perché concentrato a prepararsi una sigaretta, faceva sentire Louis più tranquillo. Lo sguardo di Harry gli stringeva sempre un nodo allo stomaco e non gli piaceva per niente sentirsi come una ragazzina esasperata.
«Comunque non preoccuparti, la zona è tranquilla. Da quando vivo in questo posto non è mai successo nulla di cui parlare, quindi sì, la tua moto è al sicuro. Poi me la farai vedere?»
Harry fece spallucce e annuì, sembrava più sereno ora.
«Se vuoi posso portarti pure a fare un giro» disse, alzando lo sguardo su di lui. E da carogna qual'era puntò i suoi occhi smeraldini, capaci di brillare anche al buio come quelli di un felino, nell'esatto istante in cui la sua lingua, con un movimento lento e sensuale, inumidiva la cartina. Le dita lunghe, gli anelli a scintillare controluce, rollarono agilmente la sigaretta. Louis si scoprì totalmente incapace di distogliere lo sguardo dalla sua bocca, dalla lingua che immaginò umida, calda, coinvolgente. Non ce la poteva fare. Quando Harry parlò, si ritrovò a sobbalzare per essere stato strappato in maniera inaspettata dai suoi pensieri.
«Hai l'accendino? Ho dimenticato i fiammiferi nella tasca della giacca».
I fiammiferi. «I fiammiferi?» gli fece eco Louis, enfatizzando la parola senza riuscire a trattenere uno sbuffo ilare. Nel ventunesimo secolo c'era ancora qualcuno che utilizzava i fiammiferi. Non aveva parole.
Harry sorrise e, Louis avrebbe voluto imprecare perché quelle ombre scure e profonde nelle sue guance, quelle che notava solo ora, erano baratri in cui si sarebbe volentieri gettato. Per morirci dentro.
«Che fai, mi sfotti? Trovo che i fiammiferi siano più naturali» disse. Louis corrugò eccessivamente la fronte così Harry pensò bene di spiegarsi meglio.
Menomale.
«Il fuoco e il legno sono entrambi elementi naturali. Il legno è fatto per ardere, il fuoco per distruggere. Si completano, è come se entrambi fossero protagonisti di un dramma romantico shakespeariano. L'accendino invece è plastica e gas, è un binomio artificiale».
Louis non si accorse di essersi bloccato a metà strada, la mano nella tasca dei jeans alla ricerca del motivo per cui si era alzato, incapace di credere a ciò che aveva appena sentito. Aveva dimenticato ogni cosa, concentrato sulle parole di Harry, sul suo modo di saper coinvolgere con quei pensieri che pur avendo dell'assurdo erano quanto più di meraviglioso potesse esserci da ascoltare, da apprendere.
Quando si fu ripreso ridacchiò piano, la testa a tratti leggera per colpa dell'erba. «Sei troppo strano Harry e forse mi piaci per questo». Lo disse con solo un tiepido sorriso, la serietà e la sincerità di quella piccola confessione a trapelare dal tono di voce. Fortunatamente non si era accorto di aver appena ammesso la sua attrazione o avrebbe rischiato di entrare nel panico, come era solito fare. Si avvicinò a lui, Harry aveva le labbra rosse strette morbidamente attorno al filtro, stava sorridendo velatamente (di sicuro non si era lasciato scappare le sue parole), e con un veloce movimento del pollice una piccola fiamma apparve dall'accendino.
«Scusa, per caso hai un binomio artificiale?» lo scimmiottò Louis mentre l'altro copriva con le mani ampie la sua più piccola, per evitare che la fiamma tremasse si spegnesse.
Nel momento in cui il calore della pelle di quel ragazzo entrò in contatto con la sua, «Mi hai fatto andare il fumo di traverso» si lamentò Harry con un colpo di tosse, gli occhi resi lucidi dallo sforzo di tossire alla sua battuta, le labbra oscenamente rosse aperte in una risata. Quella vista fu davvero troppo per lui, Louis temeva di fare qualche stupidaggine, del tipo stringergli il volto tra le mani e baciarlo senza se né ma. Cristo.
«Vuoi fumare?» offrì Harry, sollevando il pacco di tabacco nella sua direzione e spezzando il silenzio. Louis ci pensò su, poi annuì. L'attimo dopo gli planò sulla pancia il tabacco lanciato dall'altro che con un sorriso storto disse: «Te la prepari tu però».
Louis si divertì un sacco a prepararsi quella sigaretta, c'era qualcosa di intrigante nel preparare da sé il fumo, anziché doverlo solo sfilare dal pacchetto bell'e pronto. Proprio come gli aveva detto Harry, mentre lo scrutava durante l'operazione: «È un po' come per le noci, c'è più svizio nel rompere il guscio e mangiarne una per volta piuttosto che comprare quelle già sgusciate».

Inchiostro invisibile su pagine già scritte | Larry StylinsonWhere stories live. Discover now