Capitolo 13.

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Sempre la stessa insipida zuppa. Sempre la stessa cuccetta scomoda. Sempre le stesse scarpe ammaccate. Sempre lo stesso lavoro logorante.

"Tu sei forte, loro hanno bisogno di te" gli aveva detto quel soldato di nome Ernest Herb in quel casolare buio e cadente, ma dopo chissà quanti giorni passati al campo, Nate non si sentiva per niente forte.

Più volte a Nate era sembrato di vedere Ernest nei pressi della sua baracca, ma c'era buona probabilità che si sbagliasse, del resto i soldati erano vestiti tutti uguali. Nate non sapeva il perché, ma si ritrovava a pensare molto spesso a lui, forse per questo credeva di vederlo ovunque.
Nathan aveva raccontato tutto al suo amico Gilb, sapeva che Ernest gli aveva chiesto di mantenere il segreto, ma si fidava di Gilb, che rimase stupito e allo stesso tempo molto incuriosito dalla figura enigmatica e contraddittoria di una SS omosessuale.

Gilb e Nate, inseparabili, lavoravano sodo ogni giorno per la costruzione di una nuova baracca insieme al gruppo alla quale erano stati designati fin dal primo giorno.

-Nate, ho la gola secca.- affermò Gilb con voce rauca e ansimante.

Nate lanciò una rapida occhiata all'amico per fargli capire che lo compativa mentre trasportava una trave verso l'edificio in costruzione.
Nathan aveva capito già da tempo che lamentarsi era inutile. Tutti quelli intorno a lui apparivano malconci e barcollanti, lamentarsi non gli avrebbe resi più sazi, più forti o più sani.
Ad ogni modo Gilb e Nate si sostenevano continuamente a vicenda.
Loro erano due, ma si comportavano come se fossero uno solo.
Se uno dei due riceveva una razione di pane più piccola rispetto all'altro, si divideva, in modo tale da avere parti uguali. Se un carico era troppo pesante per uno solo, uno dei due era sempre pronto ad aiutare l'amico. Se la notte uno dei due, o entrambi, si svegliavano in preda ad incubi, erano pronti a confortarsi a vicenda. Tutto ciò per loro era vantaggioso.
Ogni giorno assistevano a pietosi litigi di altri detenuti che cercavano di avere anche la razione di pane dell'altro, che cercavano di prendere più spazio nella cuccetta, e che mai avrebbero dato una mano nel lavoro a un altro detenuto.
Talvolta, il più giovane sottometteva il più vecchio e il più "robusto" sottometteva quello più esile. Nathan vide con i suoi occhi la teoria della selezione naturale raggiungere l'apice della veridicità. Si rese conto che tutti i detenuti si opprimevano tra di loro ogni giorno allo scopo di avere di più dell'altro e di stare meglio dell'altro.

Per Nathan e Gilbert era diverso, l'uno era l'ancora dell'altro, e insieme, conservavano la loro umanità.
Erano convinti che insieme sarebbero riusciti a tenere a bada il proprio egoismo, consci del fatto che dividere il fardello della sopravvivenza avrebbe reso tutto più sopportabile.

Gilb sbuffò, l'occhiata di Nate gli era suonata come un rimprovero. Infatti tante volte gli aveva consigliato di non esternare i suoi pensieri negativi, avrebbe solo sprecato energie. Gilb però non lo faceva di proposito, lui era sempre stato più sofferente e più vulnerabile rispetto a Nate, e dopo vari giorni di lavoro estenuante, le sue gambe, che gradualmente diventavano sempre più fini, tendevano a cedergli carico dopo carico, trave dopo trave.
Le scarpe di Gilb, che erano già rovinate quando le aveva ricevute il primo giorno al campo,  (forse prima di lui erano appartenute a qualche altro detenuto ora certamente morto), continuavano a sfasciarsi passo dopo passo. Poggiare i piedi al suolo per Gilb rappresentava la prima vera sfida di ogni giorno. Col fil di ferro al posto dei lacci, Gilb doveva stare attento a non fare bruschi movimenti, più volte infatti si era graffiato la parte superiore dei piedi.
Nate, le cui scarpe erano in condizioni assai migliori di quelle dell'amico, si era offerto di fare cambio almeno per un giorno, ma Gilb aveva rifiutato, infatti Brian, il loro connazionale, gli aveva detto che ne avrebbe potuto ricevere un nuovo paio se l'avesse chiesto.

Gilb, la notte stessa seguì il consiglio di Brian e chiese alla guardia della loro baracca un nuovo paio di scarpe. La risposta della SS fu un decisissimo manrovescio che fece cadere Gilb a terra con un tonfo. Forse il manesco soldato si era innervosito perché non era in grado di capire una sola parola del francese o forse non aveva intenzione di soddisfare la richiesta di un triangolo rosa, ad ogni modo, Gilb rimase fregato.

Nate gettò la trave che stava trasportando al suolo, non senza un sospiro liberatorio, vicino ai detenuti che avevano il compito di costruire la nuova Ka-Be (Nate apprese che era così che i tedeschi chiamavano le baracche).
Mentre ancora ansimava si passò il dorso della mano sulla fronte per asciugare il sudore, guardò il suo amico che, in difficoltà, era rimasto poco più dietro di lui, e decise di dargli una mano.
-Se vuoi possiamo ancora fare cambio.- disse Nate riferendosi alle scarpe di Gilb.
-Per ora ce la faccio, non ti preoccupare- rispose Gilb con voce irrigidita dalla grossa trave che portava in spalla.
Nate sapeva che il suo compagno prima o poi avrebbe ceduto, aveva notato che era molto più stanco e molto più lento di lui, ma ora che la giornata di sfruttamento era quasi finita e la luce del giorno cominciava a svanire, decise che avrebbe insistito a fare lo scambio il giorno dopo.

Dopo la nauseante ma assolutamente necessaria zuppa della cena, Nate e Gilb, una volta in Ka-Be, si sistemarono nella loro cuccetta e, stremati, si abbandonarono al sonno.

Dopo qualche ora Nate si svegliò di soprassalto, come del resto gli capitava ogni notte per via degli incubi e dello scomodo e angusto spazio in cui era costretto a stare. Alla sua destra un'unica luce contrastava l'oscurità di quel posto, proveniva dalla postazione della guardia. Niente di nuovo, pensò Nate, ma stavolta c'era qualcosa di strano, il soldato aveva una sagoma particolarmente diversa rispetto a quella delle guardie delle notti precedenti. Nate si sporse ulteriormente per vedere meglio.

Improvvisamente, la sagoma misteriosa si mosse, e parve allungare un braccio verso la lampada. La luce si spostò progressivamente verso Nate, abbagliandolo e portandolo istintivamente a ritrarre la testa all'interno del cubicolo.

Nate non capì il perché del gesto della guardia, ma sapeva che era meglio per lui tornare a dormire.
Abbassò la testa e con la coda dell'occhio vide che la luce era stata riabbassata.
Chiuse gli occhi, ma un rumore di passi che si faceva via via più vicino lo agitò.

Tutto d'un tratto, il rumore cessò, e Nate si sentì più tranquillo.

-Hey, sei sveglio.-
Nate trasalì. Alzò la testa di scatto. Non sentiva più passi perché la guardia si era fermata proprio davanti a lui. Nate non seppe cosa rispondere a quella che sembrava una domanda pronunciata con il tono di una affermazione.

-Mostrati.- ordinò la guardia in francese. Nate si sporse nuovamente, credendo di riconoscere la voce della figura misteriosa.

Avvolti dalla fioca luce in lontananza, Ernest e Nate si riconobbero a vicenda.

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Domani alle 14.00 il prossimo capitolo. Ciao❣️

1943. Tre Passi per Sopravvivere.Where stories live. Discover now