Capitolo 5.

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Quando arrivò il treno, Nate capì che non era un treno comune. A giudicare dall'aspetto, veniva utilizzato per il trasporto di grandi carichi, magari di ghisa, o forse di legno.
Nate si guardò intorno: tutte queste persone ora rappresentavano un grande carico. Non c'era da stupirsi.
Per i tedeschi la ghisa importata valeva molto di più degli ebrei, dei rom e degli omosessuali deportati, eppure eccoli qui ad impegnare i loro treni più grandi per un folla di prigionieri.
Nate notò una grande massa verdastra avvicinarsi verso la folla, circondandola. I soldati li stavano spingendo verso i vagoni.

In mezzo a quella bolgia, Nate pensò di afferrare Gilb per il braccio. Sapeva che se non l'avesse fatto l'avrebbe perso. Spinti dalla corrente umana Nate e Gilb si ritrovarono a bordo di un vagone.

Lì dentro c'era umidità, e odore di muffa. Nate non seppe dire cosa avesse trasportato di recente quel vagone in cui era finito.
Nonostante non ci fosse più spazio, i soldati fecero salire altre persone.

-Nate! Nate! Dove ci vogliono portare?- gli chiese Gilb sempre tenendolo stretto per il braccio.
Gilb gli aveva fatto la stessa domanda tante volte da quando erano arrivati alla stazione, ma Nate lo aveva ignorato.
-Non ne ho idea Gilb.- Le sue parole vennero fuori rauche dalle sue labbra asciutte.

Gilb, spaventato, scosse la testa per poi abbracciare Nate, che avrebbe voluto consolarlo, ma non c'era modo di farlo.

Un uomo in divisa sulla cinquantina si fermò di fronte al vagone e lo scrutò, come se stesse cercando di contare le persone al suo interno.
Aveva una pancia enorme, che sembrava quasi scoppiare sotto la sua uniforme zeppa di distintivi. Era senz'altro un ufficiale.
Aveva un'aria furibonda, sembrava irritato. Disse qualcosa a un soldato senza neanche guardarlo in faccia e passò avanti.
In men che non si dica, il soldato si mosse e il portellone del vagone si chiuse cigolando e stridendo.

Rimasero al buio. La poca luce che c'era filtrava debole da una finestrella posta al centro del tetto del vagone.
Nate pensò a occhio e croce che in quel vagone ci fossero quaranta persone, o forse cinquanta.

Nate, che era vicino alla parete, si appoggiò per poi trascinarsi a terra, e lì si sedette. Gilb lo imitò.

Avrebbe voluto sprofondare, sparire. Erano nella terribile situazione di impotenza.
Erano come dei piccoli insetti in trappola. E non erano i soli, ce n'erano almeno mille in tutto il treno.

Nate pensò a sua madre e a sua sorella. Le uniche donne che avesse veramente amato. Si chiese come avrebbero fatto senza di lui a tirare avanti. Lui era l'uomo di casa ed era lui a portare i soldi a casa.
Le avrebbe più riviste?
Ripensò al dolce sorriso di Vivian, e sperò che rimanesse sempre felice e spensierata anche senza di lui.
Avrebbe tanto voluto abbracciare sua madre e sua sorella in quel momento. 

Guardandosi intorno però Nathan si sentì quasi fortunato. Le famiglie, raggruppate, soffrivano insieme.
Sì, si abbracciavano forte, si sostenevano l'un l'altra, ma soffrivano. La pena non sarebbe stata risparmiata a nessuno in quel vagone, tutti lo sapevano.
Cambiò idea, e pensò che per nulla al mondo avrebbe voluto la sua famiglia lì con lui. Nate, in confronto a molti altri in quel treno, aveva il privilegio di sapere che la sua famiglia era in salvo.
Questo pensiero lo alleggerì.

Ma lui aveva Gilb. E cos'era Gilbert se non un fratello? Non lo avrebbe mai abbandonato. Proprio come non avrebbe mai abbandonato sua sorellina se fosse stata lì con lui.

1943. Tre Passi per Sopravvivere.Where stories live. Discover now