3. Non sei un panettiere

64 13 5
                                    

La vita di Adalrico non era mai stata difficile, questo bisognava dirlo: era un ragazzo normale, anche se molto alto, con una famiglia rumorosa che però lo amava molto. Sua madre Gianna era segretaria in uno studio dentistico e suo padre Antonio era un panettiere.

Cioè, se vogliamo essere più precisi, suo padre non era solo un panettiere, ma un vero e proprio appassionato di pane. Un amante del pane. Un bread enthusiast. Antonio Merlo viveva per il pane e ogni mattina si alzava alle cinque, non importava quanto tardi fosse andato a letto la sera precedente, per "fare la grande magia", come la chiamava lui, ovvero panificare.

Il panificio di famiglia, tramandato di generazione in generazione, era piccolo ma accogliente, con scaffali di legno di castagno e un bellissimo bancone debolmente refrigerato sulla quale Antonio esponeva capolavori di farina di ogni genere, dalle ciambelle ricoperte di sesami ai panini morbidi al burro ripieni di noci.

Antonio era così fiero del suo lavoro che avrebbe tanto voluto che il suo primogenito si appassionasse come lui e non mancava mai di fargli notare come essere panettiere fosse un mestiere indispensabile per la città, mentre essere un wrestler era superfluo e meno remunerativo.

Quella mattina, quando Adalrico si svegliò ancor più stanco di come si era andato a coricare, si ritrovò a fissare suo padre che, con una baguette fra le braccia cullata a mo' di infante, lo stava fissando dalla soglia.

«Papà» Disse insonnolito il ragazzo, tirandosi su a sedere «Che cosa ci fai qui? Che... che... ore sono?»

«Ti ho portato la colazione» rispose il genitore, con la sua voce pastosa da baritono

«Ma... è solo un pane, papà»

«Non è solo un pane, è una baguette» gli insegnò lui, con perfetto accento francese

«Si, ma non posso mangiare solo pane per colazione, papà»

«Guardala» disse lui, allungando il pane verso il suo figliolo.

Adalrico non poté fare a meno di inspirare a fondo: la baguette aveva un odore caldo, fragrante, delizioso.

«La vedo» Rispose «Che ha di speciale?»

«È pane»

«Si, va bene. Che ha di speciale?»

«Il pane è la miglior colazione, figliolo. Puoi farcirlo con tutto ciò che vuoi e non perderà mai la sua natura. Può essere salato o dolce, ma il suo sapore migliorerà qualunque colazione»

«Papà, io...»

«Shh, shh, non dire nulla. Chiudi gli occhi».

Adalrico ubbidì per due motivi: uno era che si trattava di un ragazzo assai giudizioso che ascoltava sempre quello che avevano da dire i suoi genitori, l'altro era che sapeva che discutere con suo padre, soprattutto in materia di prodotti da forno, era tempo sprecato.

«Annusa»

«Ha un buon odore, papà»

«Annusa meglio».

Adalrico analizzò l'odore e scoprì che, sotto le deliziose note che aveva già individuato, c'era qualcos'altro, qualcosa di scuro e dolce e dall'aroma rotondo...

«Cioccolato?» Domandò sorpreso, aprendo gli occhi

«Esatto! Vedi, non era come sembrava. Questa in realtà non è una baguette»

«È una... baguette con il cioccolato?»

«No! No!» Antonio scosse la testa «Non è una baguette! Il pane della tradizione francese deve contenere solo quattro ingredienti: acqua, farina, lievito e sale. Questo contiene anche il cioccolato, ma solo dentro. Hai visto che scherzone?».

Suo padre gli sorrideva come se avesse appena fatto la battuta del secolo, così Adalrico si costrinse a ridacchiare raucamente per non deluderlo; era per lui assai difficile capire tutte le sfumature delle battute riguardo il pane, visto che aveva sempre trovato interessante mangiarlo, ma terribilmente noioso cucinarlo.

«Allora» Disse Antonio, mettendosi una mano su un fianco e sventolando fieramente la baguette con l'altra «Ti alzi e vieni a fare colazione? Puoi metterci anche la marmellata, se ti va. Puoi metterci la nutella, ma secondo me è un poco uno spreco. Io ti direi di mangiarlo così com'è, come se fosse pain au chocolat»

«Ma... quella parola... pain quello lì...» farfugliò Adalrico «Non significa "pane al cioccolato" in francese?»

«Si»
«E allora lo mangio come pain au... cho... chocolat... perché è questa cosa!»

«Sacrilegio!» tuonò Antonio, indietreggiando «No! No, no, no! Il pain au chocolat è una preparazione dolciaria completamente differente da una baguette»

«Ok ok, scusa».

Adalrico scese dal letto e appoggiò i piedi nudi sul pavimento fresco. Suo padre lo stava ancora guardando scandalizzatissimo, come se lo avesse beccato in compagnia di quattro donne fuorilegge, ma dopo poco si allontanò per andare finalmente ad aprire il panificio. Tutta la casa profumava di pane, una cosa abbastanza normale visto che il negozio si trovava proprio adiacente alla dimora ed era ad essa comunicante attraverso un piccolo corridoio che suo padre aveva scavato e costruito artigianalmente e molto probabilmente illegalmente.

Adalrico si diresse verso il bagno a piedi nudi e inciampò in un cavallino di plastica, battendo la testa contro lo stipite della porta. Reggendosi la fronte e barcollando come un ubriaco, riuscì ad infilarsi dentro la stanza da bagno e chiudere la porta a chiave.

Rumori di aspirapolvere provenivano dai corridoi. Un miagolio e un grattare alla porta annunciarono che il gatto di casa, Kane, stava cercando di entrare a dare il buongiorno al suo umano preferito, che era proprio Adalrico.

Kane era un felino non proprio obeso, ma abbastanza sovrappeso, con il pelo bianco e rosso e un nasino rosa minuscolo che spuntava quasi fra gli occhi azzurri per via del suo muso piatto, retaggio della sua parte persiana. Sua madre, Tiffany, era tutt'ora una campionessa da esposizione, ma un giorno era fuggita di casa durante un calore e aveva incontrato Cicciazzo detto Diavolo, un meticcio senza un occhio che era solito passare le notti a mangiare roba dalla spazzatura e a farsi venire il mal di pancia. Il frutto del loro amore proibito era stato Kane, insieme alle sue sorelline Alba e Bianca.

Kane era stato regalato ad Adalrico quattro anni prima, a natale, e da allora erano stati quasi inseparabili. Scrivere quel quasi è d'obbligo poiché se non lo avessimo messo non avremmo reso giustizia alla fedeltà di Kane, il quale voleva passare ogni istante della sua vita insieme al suo padroncino, compresi gli istanti in cui era seduto sulla tazza del water.

Adalrico cercò di sbrigarsi al più presto e quando finalmente uscì dalla stanza il gatto cercò di saltargli in braccio infilandogli gli artigli nei pantaloni del pigiama.

«No, no piccolino» Disse il ragazzo, afferrando da sotto le ascelle il felino e dandogli un piccolo bacio sul naso rosa «Mi fai male».

Kane miagolò e si divincolò finché non fu stretto contro il petto del suo padroncino, contro cui si accoccolò e cominciò a fare le fusa.

Non erano neanche le sei di mattina, ma tutta la casa vibrava per via del rumore dell'aspirapolvere che la signora Gianna Merlo stava passando in salotto, un turbo-ciclone potentissimo capace di aspirare un micino neonato. Kane aveva il terrore di quell'aspirapolvere e ogni volta che lo sentiva doveva accoccolarsi sul petto del suo padrone altrimenti non sarebbe riuscito a darsi pace e avrebbe miagolato terribilmente e tremato e, in alcuni casi, persino vomitato.

Con il gatto stretto contro il petto, Adalrico si recò nella sala da pranzo, dove baguette con il cioccolato fumanti campeggiavano sul tavolo insieme a diversi barattoli di conserve e altre creme. Posato Kane su una sedia, il ragazzo chiuse la porta della stanza per attutire il rumore dell'aspirapolvere e si sedette a fare colazione, dando di quando in quando una briciola di pane (stando ben attento ad evitare il cioccolato) al gatto, che pareva apprezzare molto la cosa.


L'Ombra di un Cappello - 1. Non sei una superstarWhere stories live. Discover now