Dieci

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Mario

Da quando Claudio lavorava al Romeo's, sentivo gli occhi di Alex costantemente addosso.

Ero costretto a vederlo solo una o due volte a settimana è vero, ma quella sensazione poi me la portavo a casa, me la portavo dentro.

Non riuscivo proprio a togliermela di dosso.
Mi scrutava, mi intimoriva e mi faceva sentire continuamente sotto giudizio.

Per non parlare dell'ultima volta che ho visto Claudio quattro gironi fa a casa di Paolo.

Le sue parole mi hanno fatto effetto lo ammetto, ma non posso far finta di nulla.
Non posso accettare che tutto passi con uno scusa o un mi manchi.

Lui mi ha ferito e tanto.

Questo però non toglie che la sua mancanza ce l'ho sulla pelle da quel 26 agosto.

La sento addosso, nel cuore, incisa sull'anima.

Ma poi come gli è saltato in mente tirare fuori i ricordi di quando eravamo piccoli.

Quei ricordi sono tutto ciò che mi resta, tutto ciò che di più puro e pulito conservo in un remoto angolo del mio cuore.

Tutto ciò che, mai, niente e nessuno potrà sporcare o manipolare.

Perché ciò che è stato non può essere cambiato.
Ma ciò che siamo si, purtroppo.

La serata è terminata da un'ora, e nonostante siano le 4 del mattino, Alex è ancora lì che aspetta Claudio per portarlo chissà dove a fare baldoria.

Passo per l'ultima volta davanti al bancone e mi scambio uno sguardo veloce con lui.

Da quel giorno non abbiamo più parlato, ma entrambi sappiamo, che quelle lacrime e quell'abbraccio sul divano non lo dimenticheremo facilmente.

Il problema è che io lo sento vicino al cuore prima ancora che fisicamente, e questo mi frega e mi fregherà sempre.

Claudio è stanco, ha le occhiaie di chi non dorme da giorni.
Ma nonostante questo sono certo che asseconderà Alex.

Lo guardo velocemente, un ultima volta mentre pulisce il bancone e con il dorso della mano si strofina un occhio.
Mi dirigo poi verso la porta del magazzino e la apro per entrarci dentro.

Claudio conserva gli stessi atteggiamenti di quando era più piccolo.
Mi ricordo ancora quando eravamo alle medie e a lezione, durante l'ora di matematica creava le barricate con i nostri astucci e ci si nascondeva dietro per schiacciare un sonnellino.

Io gli davo i calci sotto al banco quando vedevo la professoressa Germani, da lui ribattezzata rospo al limone, avvicinarsi e lui di soprassalto si alzava e si strofinava gli occhi fino a farli diventare rossi.

Lui era quel tipo di bambino iperattivo che faceva impazzire i docenti.
Era il classico "ragazzino molto intelligente, ma che potrebbe fare di più".

Con l'adolescenza poi era anche peggiorato.

Faceva scherzi alle 5 di mattina, alle 7 di mattina, sempre.
Insomma era fastidiosissimo.

Senza contare quella volta che alle 4 di notte in campeggio, mi ha svegliato di soprassalto.

Il motivo? Lui non aveva sonno e voleva andarsi a fare una passeggiata.

Sorrido in modo spontaneo a questo ricordo, mentre racimolo i miei vestiti ed effetti personali in fretta e furia.

Una strana sensazione mi attanaglia lo stomaco.
Era stata una serata troppo tranquilla e questo, non so per quale motivo, mi terrorizzava.

Quando mi affaccio alla porta per fare un cenno veloce a Paolo, Claudio è ancora alle prese con il bancone, forse per evitare altre scene imbarazzati aspettava che prima mi cambiassi io.

Intanto Martina ne aveva approfittato per incollarglisi addosso, anche se contro ogni aspettativa aveva invece attirato l'attenzione di Mattia.
Ma di questo poco mi importava, volevo solo andare a casa e sprofondare sotto le coperte.

Esco dal retro e tiro un sospiro di sollievo quando l'aria fresca di settembre mi accarezza il volto.
Respiro a fondo e mi stringo nella mia giacca.

Ma c'e qualcosa che non va.

"Eccolo, il succhia cazzi " rabbrividisco, ma non più per il freddo.

Faccio due o forse tre passi veloci in avanti, ma la sua voce mi blocca di nuovo.

"Che c'è fai il timido adesso?" lo sento avvicinarsi velocemente.

Deglutisco a fatica e mi si gela il sangue quando sento la sua mano sulla mia spalla.
Pesa, pesa come il piombo.

Mi giro verso di lui, ha gli occhi lucidi, inespressivi.
È completamente ubriaco.

"Ti vedo come lo guardi" ride di gusto e io abbasso lo sguardo in preda al panico.
"Ancora non ti è passata la cottarella femminuccia?"

Quel femminuccia, scandito lettera per lettera mi fa sprofondare nel suolo.

"A-Alex, sei ubr.." mi afferra per il colletto della giacca impedendomi di terminare la frase.

"Lo spogli solo guardandolo, ma non ti fai schifo un po'.." stringe ancora di più i lembi della mia giacca ed io istintivamente chiudo gli occhi.

"Alex per favore.." ho paura, ma non delle botte, delle sue parole e del potere che hanno sempre avuto su di me.
Sono taglienti e fanno anche più male.

"Quelli come te, sono inutili e da buttare" mi spinge facendomi cadere a terra.
Respiro a fatica perché sono terrorizzato, ma non voglio urlare e cerco di nascondere il mio stato d'animo.
Non voglio chiedere aiuto.

Voglio dimostrargli che non sono una femminuccia e che so difendermi da solo.
Voglio che mi veda cadere si, ma con dignità.
Voglio dimostrargli che non ho paura.

"Lui non è come te, stampatelo in quel cervello malato" ride di nuovo " tu gli fai schifo. "

Se penso che nelle sue parole c'e un fondo di verità mi rendo conto che forse è meglio così.

Che forse non voglio più sentire dolore nel cuore.

Che forse il dolore fisico potrebbe essere per me assenzio ed alleviare la mia sofferenza.

Lo vedo avvicinarsi ed è a quel punto che non sento più niente.
È tutto buio sia dentro che fuori e quel gli faccio schifo che mi rimbomba nella testa.
La testa che ora mi si fa pesante.

Sento bruciare lo stomaco e il respiro farsi sempre più affannato.

L'aria arriva sempre meno, forse è questo che si prova quanto ci si sente soffocare.

È come quando stai troppo tempo sott'acqua e ti manca la sensazione dell'ossigeno che arriva nei polmoni.

Il fruscio del vento fresco si fa sempre più lontano, quasi impercettibile.

La voce di Alex sempre più piccola e soffusa.

Un urlo lontano, ma deciso.
Due mani sul volto e due braccia che mi stringono forte.
Ma questo non basta perché gli occhi si fanno pesanti.
E forse sto solo immaginando.

"Mario sono qui."

Sento le sue braccia avvolgermi.
E poi buio.

«Scelgo ancora te anche oggi,
oggi che non è facile,
non è sufficiente abbracciarsi un po'
Abbracciami. »

• Giorgia / Scelgo ancora te •

Randagi Where stories live. Discover now