Capitolo secondo

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Gli zoccoli di Philip scalpitavano, risuonando sulla terra che aveva perso qualunque traccia delle verdi foreste di Blackgrapes. Il suo corpo saettava snello, flettendo i muscoli, veloce come non si era mai spinto. Era stanco, ma persino una bestia intelligente come lui, riusciva a captare nell'aria l'odore del pericolo.

Mika ed il suo fedele amico impiegarono un giorno per raggiungere Asper.

Quando il castello si erse all'orizzonte, imponente e spoglio come tutto il resto, i due furono sul punto di piangere.

«Bravo il mio ragazzo» la mano tremula ed esausta del cocchiere, toccò il muso dell'animale più volte.

Philip nitrì in risposta, poi si fermò.

«Devo vedere il mio Lord, subito!» gridò Mika alle guardie davanti l'entrata del castello.

I due, allarmati, si guardarono l'un l'altro ed annuirono, dando il segnale per aprire le mastodontiche porte che gli avrebbero permesso l'ingresso.

Il sudore e la sporcizia sul viso del ragazzo, lo rendevano irriconoscibile persino per uno straccione come lui. Teneva la mano stretta alla cintura e camminava, deciso ma con lo sguardo basso, oltre i corridoi del castello. Si fermò sull'uscio della sala del trono, ed aspettò di essere annunciato.

Non appena lo vide, il suo Lord si fece bianco come un cencio e gli fece cenno di parlare.

Mika aveva il fiatone «mio Lord, sono corso più veloce che potevo...» annaspò, stremato «per via della gravità di quello che è successo lungo la strada di Blackgrapes».

«Che tu sia dannato, ragazzo! Parla!» gridò furioso l'uomo, stringendo la presa sul corrimano di legno.

«Sua figlia è stata presa.» biascicò il cocchiere «Il Giaguaro di Blackgrapes ed i suoi uomini ci hanno teso un'imboscata».

*

La notte era calata sulla foresta come una calda carezza materna. Camilla aveva paura, legata ad un grosso tronco di Cedro, simile ad uno di quei maiali che la sua famiglia serviva in tavola per gli occasionali banchetti.

E se l'avessero mangiata?

No, a quei brutti ceffi serviva viva, ma il terrore spingeva la sua mente verso luoghi così oscuri, da farle accapponare la pelle.

Il fuoco crepitò attorno al chiacchiericcio sommesso dei briganti.

«La Valle è troppo distante! Gli uomini di Randall non risparmierebbero nessuno».

«Io dico di andare dritti al Castello, lasciare lì la ragazza e filarcela».

«Dopo tutto quello che abbiamo fatto, Vlad? Forse quel vino ti ha dato alla testa!»

«Fottiti».

«Fottiti tu! E che si fotta anche tua sorella...o no, aspetta, quella l'ho già fottuta io!»

Una grossa risata si levò dal gruppo, ed uno degli uomini della cerchia si alzò con l'intento di alzare le mani addosso all'altro.

«State zitti!» gridò qualcuno.

Camilla non riusciva a capire di chi si trattasse, ma dato il silenzio che seguì, pensò di averne una vaga idea. Tese le orecchie nella penombra spettrale della foresta.

«Nessun cambio di piani» annunciò l'uomo, che si era eretto con autorità sugli altri «i Randall saranno costretti a cedere i nostri uomini, anche se ciò vorrà dire sgozzare questa cagna e trascinare il suo corpo fino al Castello di Blackgrapes».

Camilla deglutì rumorosamente, sentendo le lacrime affluire.

«Sono stato chiaro?»

«Sissignore».

La conversazione attorno il fuoco riprese dei toni sommessi e gioviali ; sarebbe sembrata una tranquilla cena tra giovani avventurieri, se non fosse stato che quelle bocche, rimpinzatesi di coniglio, appartenevano ai più ricercati farabutti di tutto il regno di Harmonya. La ragazza pensò, che se mai fosse riuscita a liberarsi o a venirne fuori ancora viva, avrebbe ordinato al padre di impiccare ognuno di quei sudici uomini, e sarebbe rimasta a guardare.

Sentiva le corde attorno ai polsi segarle la carne ad ogni suo più piccolo movimento. Il suo stomaco brontolò ed i suoi occhi si chiusero per il dolore e la stanchezza.

«Camilla, giusto?»

Sussultò, mordendosi un labbro per soffocare il lamento che stava per tirare fuori. Non aveva neppure il coraggio di girare la testa quel tanto che poteva. Sentiva gli occhi del ragazzo su di sé, anche se non riusciva a vederlo.

«Se non hai intenzione di parlarmi, beh, lo capisco» proseguì l'altro, girandole attorno per risbucarle di fronte «ma si corre il rischio di annoiarsi, chiusi nel proprio silenzio, non trovi?»

Camilla osservò il sorriso sadico del brigante e il modo in cui la sua pelle si tendeva per scoprirgli i denti. Raschiò tutta la saliva e la bile che aveva in gola, e sputò. Il getto molliccio ed appiccicoso colò da un sopracciglio del ceffo, per poi scivolargli lungo la guancia. Per un istante il tempo si fermò. Lawrence perse il suo sorriso di scherno, e la guardò come sul punto di saltarle addosso e strangolarla.

«Un altro passo falso come questo, e la prossima volta che ci fermiamo ti faccio legare a testa all'ingiù dall'albero più alto. Sono stato chiaro?»

Camilla, paralizzata, annuì.

Ben presto, persino l'ultima traccia di luce venne soffocata dalla tenebra, mentre dalla foresta strani suoni di vita lontana le giungevano sotto forma di eco. Tutti dormivano, eccetto lei, sebbene fosse esausta. Alternava lacrime a maledizioni, e pensieri d'odio a pensieri familiari e pieni di calore. Le sembrava di essere stata catapultata in una delle storie che rubava ancora dalla camera della sorella. Ma lei non era l'eroina; era solo una debole Lady, vittima della malvagità dell'uomo.

E mentre cercava il pensiero più confortante a cui aggrapparsi per quella notte, qualcosa di stridulo e molto vicino, perforò la loro precaria cortina di silenzio.

Pareva un nitrito. Il rumore del tintinnio di un'armatura. Sgranò gli occhi, col cuore in gola. Rinforzi, pensò, rinforzi! Suo padre, e forse persino i Randall, erano tornati a cercarla.

Racchiuse tutto il fiato che aveva e gridò «sono qui!Sono la Lady di Asper! Aiutatemi!»

Gli uomini si riscossero dal sonno, distesi attorno alle braci del fuoco, e si guardarono attorno allarmati.

«Aiuto! Aiutatemi!» le urla di Camilla erano roche e disperate, oltre che dolorose.

Uno dei briganti guizzò all'impiedi e sfoderò la spada, poi gettò gli occhi sulla ragazza. Il nitrito e lo scalpettio del cavallo si fecero sempre più vicini. Camilla si preparò ad urlare ancora, ma qualcuno le balzò addosso e le mise una mano sulla bocca. Un paio di occhi verdi forarono i suoi, sbarrati e pieni di orrore. La ragazza non capiva perché il tanto temuto "Giaguaro" fosse disposto a mettere l'orgoglio sotto i piedi, pur di evitare uno scontro. Il viso del ragazzo era ad un soffio dal suo, il sapore del suo palmo sudicio sulla sua lingua e la spada alla gola.

«Sta zitta!» le intimò con un sussurro «Non sono qui per te!»

Nel silenzio, tutto quello che Camilla sentì, fu il battito del suo cuore sul punto di spiccare il volo. Gli altri uomini tacevano, nascosti oltre tronchi e cespugli, dopo aver calpestato le braci ancora calde. La foresta era in trepida attesa, la pelle sulle braccia piena di brividi.

E fu allora che la ragazza lo vide : il leggendario Cavaliere Fantasma, brillante di un'oscura luce propria, come quello delle storie che da secoli si tramandavano ad Harmonya.

Camilla sentì la lama sfiorarle i polsi, poi una mano afferrare la sua. Il cavallo saltò sulle zampe posteriori ed il suo nitrito spettrale perforò la notte.

«Scappa!» gridò il ragazzo, gli occhi sbarrati «Correte via da qui!»

The Jaguar of BlackgrapesWhere stories live. Discover now