CAPITOLO DUE

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DATA: 12 OTTOBRE 1962

C'ERANO VOLUTI sei dossi uno dietro l'altro per riportare Kalypso in sé. Era stata assalita da un'ondata di nausea ed aveva subito tirato su la testa.

Le sue dita accarezzarono la pelle del sedile sul quale si trovava, e la sua mente la riportò a qualche ora prima, quando era immobilizzata alla sedia elettrica che avrebbe dovuto farle manifestare le sue abilità dato che l'avevano ritenuta inattiva causa l'assenza di minacce. Il suo battito cardiaco accelerò ed affondò le unghie nella pelle quando strinse i pugni, accogliendo le fitte di dolore famigliari. Le luci blu intermittenti, gli aghi, le maschere, l'agonia senza fine. Tutti questi momenti le venivano riproposti dalla propria mente come colpi non previsti. Istintivamente la sua mano si allungò verso il coltello che di solito si trovava attaccato alla propria cintura, ma questa volta afferrò il nulla.

Poi, nel suo stato di costernazione isterica il suo sguardo si posò sulla nuca di Erik e su Charles Xavier sul sedile del passeggero, il quale era immobile tranne per il suo petto che si alzava ed abbassava regolarmente. Kalypso si trovava sul sedile posteriore e l'auto si stava dirigendo verso un posto a lei sconosciuto, ma lei rimase stranamente calma.

I suoi polsi erano liberi da qualsiasi vincolo, le avevano dato spazio. Era da sola sul sedile posteriore ed era solamente limitata dalla cintura di sicurezza.

Era al sicuro.

Posò lo sguardo fuori dal finestrino e si rilassò contro il sedile sgonfiandosi come un palloncino. Appoggiò la fronte sul vetro freddo che proiettava il riflesso del suo viso.

Occhi color carbone la fissavano freddamente insieme a guance smunte ed una galassia di lentiggini che troneggiava su pelle senza vita. Qualche ciocca di capelli rossastri le cadeva sugli occhi e completavano il quadro i cerchi scuri attorno ai suoi occhi. In particolare il tessuto danneggiato lungo la sua mascella sul lato destro del suo viso formava una brutta cicatrice. Si ricordò di come tutti questi elementi fossero fusi in sé e di come facevano tutti parte di lei.

Sbatté le palpebre una volta vagamente stupita, ed il suo sguardo bypassò il suo terribile riflesso per osservare il mondo esterno che non era riuscita a vedere per un bel po' di tempo da quando era stata messa in isolamento. Era stata libera di girovagare, solo non per propria volontà. La sua mente era stata una prigione e le aveva solo permesso di focalizzarsi sull'obiettivo. Tutto il resto era stato trascurato.

Raggi di sole dorati si estendevano magnanimi sulle colline graminacee, rinfrangendo oltre il vetro e scaldandole il viso con una carezza delicata che lei assorbì più che poté. Il colore era sparso a puntini sull'erba e lei alzò un sopracciglio. Fiori selvatici, pensò. Poi si chiese come cose così randagie ed involontarie diventavano il capolavoro più bello della Terra. Lei era un fiore selvatico?

O era solamente un mostro? Creature docili come le piante erano una cosa, ma la distruzione insita nella sua testa come l'alfabeto era un'altra – come galassie separate nell'universo.

Nel laboratorio, a Kalypso era stato detto che un giorno sarebbe stata invincibile, ma lei non si era mai sentita così fragile. Era un pupazzetto nelle loro mani che si muoveva in base ai fili che loro tiravano senza avere un supporto interno. Le era stato detto che sarebbe stata l'arma che avrebbe catalizzato il cambio drastico che necessitava l'umanità. Le era stato detto che non era niente di più che il soldato perfetto che volevano che diventasse.

Quindi, no. Era impossibile per qualcuno – qualcosa come lei essere alcunché, figuriamoci un elemento delicato di bellezza e vita. Le avevano sottratto tutto e l'avevano riempita di niente.

fight club |ITA|Where stories live. Discover now