13 Agosto 2017

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Ricordo quando stavamo sul c71, il pullman che ci avrebbe riportato a casa, quel pullman sempre in ritardo; quel giorno mi sedetti vicino a te, qualcosa mi attirava, iniziai subito a farti ridere con qualche storia comica e improbabile, mi piaceva sentire la tua risata, mi piaceva vederti ridere, mi piacevi tu.

Uscivamo spesso in quel parchetto, sulla nostra panchina, parlavamo per ore, non ci stancavamo mai di parlare. 

Ci mettevamo una vita per salutarci, sia al telefono, sia di persona, come se fosse un ultimo addio. Sacrificavamo il sonno per parlare, per farci domande senza fine su di noi. 

Ti svelai ogni parte di me, ti rivelai tutte le mie insicurezze. 

Anche tu mi raccontasti tutte le tue insicurezze ma mi era difficile credere che una persona così meravigliosa come te avesse delle insicurezze ma la tua invulnerabilità mi faceva solo amare di più.

E poi, a parte tutto, o forse soprattutto, tra noi c'era un'attrazione quasi chimica. Il legame fisico così diverso da quello che avevo provato finora. Per la prima volta in vita mia non ero imbarazzato o inibito. Niente mi sembrava proibito.

"Fatichi a sostenere lo sguardo delle persone?" mi chiesi un giorno, ti risposi di si, sorridendo.

Oltre a questa fatica, fatico anche a farmi voler bene dalle persone, tu ti fidavi poco, e io sono troppo complicato per poterti dimostrare ciò che avresti meritato.

Litigammo.

Ti allontanai.

Ti allontanasti.

Ti aspettai.

Anche ora aspetto che quel fottuto c71 ti riporti da me e se così non fosse vediamoci nella pioggia, nelle stelle, nei sogni, vediamoci e basta.

La fragilità degli uraganiWhere stories live. Discover now