Giorno 730

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A tutte le persone che commentano, votano, aggiungono la mia storia alle letture o semplicemente danno un'occhiata a ciò che succede in queste pagine dico: grazie, grazie mille!!



8.

Dopo il Praimfaya: giorno 730




CLARKE



Si sveglia di soprassalto, annaspando alla ricerca di aria, improvvisamente seduta sul suo giaciglio. Il buio del bunker la avvolge come i suoi incubi. È duro, freddo ed opprimente e le sta togliendo ogni possibilità di luce.

Cerca di dare un ritmo al suo respiro, ogni movimento del diaframma controllato per riconquistare la padronanza del proprio corpo.

Sempre lo stesso incubo, da quasi un anno. Sogna i suoi amici, senza di lei; sogna che la dimenticheranno. Sogna di rimanere da sola per sempre.

"Clarke, calmati, va tutto bene".

Va meglio.

Strano riuscire a calmarsi immaginando la voce profonda e rassicurante di Bellamy. Ma, fondamentalmente, non è una sorpresa.

Si sdraia nuovamente, incrociando le braccia dietro la testa. Guarda il soffitto come se potesse raggiungere lo spazio solo con lo sguardo.

Due anni da sola sulla Terra e nessun cenno di vita dallo spazio o dal bunker. Ogni giorno sembrava sia migliore che peggiore del precedente. Era riuscita nell'impresa di coltivarsi del cibo tramite il cibo delle scatolette, ottenere acqua potabile modificando l'acqua raccolta al di fuori del bunker, viveva con ciò che poteva e con il massimo delle sue forze. Gli appunti di Becca erano ormai i suoi appunti, i libri scientifici i suoi migliori amici.

Dopo un anno e duecentocinquanta giorni, era finalmente riuscita a mettere piede sulla Terra. Il monitor aveva indicato un prezioso 70% dopo mesi e mesi in cui i valori erano risultati sballati e Clarke aveva osato. Ogni passo verso l'uscita era stato una lotta interiore: uscire? Non uscire? Rischiare?

Aveva rischiato. E aveva vissuto.

L'aria le aveva fatto sanguinare il naso non appena aveva sferzato il suo casco protettivo. Il sole l'aveva quasi accecata e le si erano piegate le ginocchia.

11 secondi.

Ecco il tempo che aveva speso sulla Terra la prima volta.

Poi, piano piano, sempre di più. Un minuto, cinque minuti, un quarto d'ora, un'ora intera.

Ora riusciva a stare fuori ben cinque ore senza sentirsi male. Ci voleva tempo, e lei ne aveva da vendere. A volte raccoglieva dell'acqua in un fiume vicino per poi modificarla in laboratorio, a volte afferrava dei ciuffi verdi dal terreno in cui un tempo cresceva erba, a volte osservava il cielo con le lacrime agli occhi e soffriva la solitudine e l'incertezza.

Non sapere era la parte peggiore.

Era difficile, specialmente di notte. Di giorno si teneva impegnata studiando qualsiasi cosa possibile, ma di notte la solitudine le graffiava il petto come una rosa ricolma di spine. Allora aveva imparato a calmare il respiro e a concentrarsi su pensieri felici o speranzosi.

La speranza era la sua ancora, la teneva in vita e la infiammava come un incendio.

"Coraggio Clarke, altri tre anni e poi rivedrai tutti. Devi sopravvivere per rivederli tutti"

2199 giorniWhere stories live. Discover now