꧁ VII ꧂

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Non riesco a dormire.
Il mio corpo si contorce, il sudore incolla i miei capelli alla pelle e gli spasmi non mi permettono di respirare.
Il forte bruciore, le scariche elettriche che percorrono i miei arti, il caldo rovente che percepisco dentro me mi costringono ad urlare.
Grido per il forte dolore, grido perché soffro senza sapere da cosa mi nascondo, grido perché non so chi sono, grido perché vorrei con tutto il mio cuore avere accanto a me qualcuno.
Mi dimeno nel letto, sento le mie ossa produrre rumori spaventosi, il sangue ribollire, gli occhi illuminarsi, scurirsi e schiarirsi ad intermittenza.
Mi piego per trovare un po' di pace, poi cambio posizione ancora e ancora, senza riuscire a sopportare tutto quel dolore.
Elvyra non è ancora tornata, è rimasta fuori dalla stanza nonostante il coprifuoco alle 23 ed io la ringrazio di cuore per questo.
Decido quindi di fare una mossa azzardata: di uscire da questo posto, di mostrare a Dio, nonostante abbia oscurato la sua luce per permetterci il riposo, che nonostante questa maledizione io combatto.
A fatica mi sollevo dal letto, cadendo sulle mie stesse ginocchia e strisciando fino all'armadio, dove prendo qualcosa di leggero, visto il bruciore e il fuoco, che regnano dentro di me.
Sento puro ed incessante fuoco, non ho altro modo per descriverlo.
La mia pelle diafana assume un colore più olivastro durante questi momenti, così ora, vedo la mia espressione stanca, disperata e all'apparenza morente, mentre afferro dei pantaloncini neri in tessuto e una canotta bianca.
Faccio forza sulle braccia per sollevarmi e, nel compiere quel gesto, emetto un altro grido di sofferenza, per poi appoggiarmi ad ogni singolo oggetto presente e dirigermi verso il bagno, per azionare l'acqua ghiacciata e cercare così di attenuare quell'insopportabile dolore sul mio corpo.
Rimango raggomitolata nella vasca sotto l'acqua fredda per un tempo indefinito, poi provo ad asciugarmi e ad indossare quei freschi abiti sperando che il fuoco si attenui.
Lascio che i capelli ricadano bagnati sulle mie spalle, lungo la schiena, bloccandosi al suo culmine, proprio sopra l'elastico dei pantaloncini.
Cammino verso la porta della mia camera, con le scarpe da ginnastica ai miei piedi e quel fuoco che a poco a poco riprende a ridurre in cenere i miei organi, i quali, essendo immortale, dopo essere annientati rinascono dalle ceneri, come l'antico mito della fenice.
Far ricrescere gli organi è un procedimento naturale, ma di un dolore tale da far desiderare, per quel lungo lasso di tempo, la morte.
Striscio i piedi lungo il corridoio buio, posandomi contro la parete per sorreggermi, mordendo il labbro con forza per trattenere le grida, mentre calde lacrime scorrono sul mio viso a causa del dolore.
Cammino lentamente, spesso mi fermo e raggomitolo su me stessa, poi torno in piedi, intenzionata a tutti costi a mostrargli, che nonostante tutto resisterò, come desidera.
Fare le scale è forse la cosa più complicata, ma ringrazio il cielo per l'esistenza dello scorri mano, unica ragione per la quale ora non sono distesa in una pozione scomposta al piano di sotto.
Mi faccio forza, mi ripeto che posso farcela e quando raggiungo il piano terra sorrido fra le lacrime.
Finalmente, la brezza fresca della notte colpisce la mia pelle, rincuorando un poco gli organi ustionati dentro di me, che cercano di ricomporsi, per l'ennesima volta durante la mia stupida vita.
<<Madre, perché mi hai fatto questo?>> domando, guardando il cielo, dove dovrebbe trovarsi.
Sospiro sfinita, sdraiandomi sul prato con lo sguardo rivolto al cielo, dove una grande coltre grigia copre la luce del creatore.
<<Voglio solo risposte, voglio sapere chi sono e non soffrire più, chiedo solo questo>> gli dico, stringendo i denti non appena quel fuoco a poco a poco divampa verso il mio petto.
I misi occhi cominciano ad appannarsi, ma riesco a scorgere fra quelle nuvole un piccolo spiraglio di luce appena lasciato libero, il quale illumina proprio il mio cuore.
A poco a poco infatti, le fiamme lo raggiungono, lo inglobano e, come accade sempre al termine del mio Chaos, i miei occhi si chiudono e niente più appare sotto il mio controllo.

Quando riapro gli occhi, mi sembra di sentire una debole risata, ma prima di mettere a fuoco ciò che mi circonda, anche a causa della forte luce divina sul mio volto, ci metto un po'.
Mi sorreggo sui gomiti, posando la mano sopra i miei occhi per ripararmi la vista da quei fasci bianchi, poi lo vedo.
Dal bosco, poco distante da me, in un angolo buio, fra due tronchi d'albero, due occhi sembrano osservarmi.
Mi sollevo dal prato, avanzando verso quel punto piena di curiosità, confusa da quei due grandi occhi neri, che a pelle sembrano inviarmi brividi di terrore.
"Sei tu" sento sussurrare quella creatura, che ancora non mi appare ben visibile, con voce graffiante, quasi un urlo appena pronunciato.
Mi blocco sul posto nel sentire quelle parole, guardo quegli occhi e un bruttissimo presentimento si fa strada in me.
Con il corpo e cuore che ancora duole per la nottata trascorsa e che ora comincia a battere con più frenesia, decido di allontanarmi.
Anzi, i miei piedi si muovono da soli in una corsa irrefrenata non appena, dopo una leggera brezza, un odore marcio, simile alla morte, raggiunge il mio olfatto.
Corro nonostante il dolore all'interno dell'Accademia, rifugiandomi nel dormitorio femminile e tornando a respirare solo difronte alla porta della mia camera.
Entro senza pensarci due volte e sbatto la porta alle mie spalle, respirando rapidamente e a fatica, con gli occhi chiusi per la paura.
Cos'era quell'essere?
<<Silver, potresti uscire?>>
Sollevo subito le palpebre nel sentire la voce affaticata di Elvyra, ma nel farlo mi accorgo immediatamente di una cosa: la sua figura è completamente coperta dalla possente schiena di un Demone, che si trova a cavalcioni su di lei, di cui per fortuna riesco solo a vedere i capelli scuri sparsi sul cuscino.
Sbarro immediatamente gli occhi imbarazzata, uscendo veloce come un fulmine dalla mia camera e chiudendo la porta con un colpo secco.
<<Dio, che terribile risveglio!>> commento a voce alta, allontanandomi sempre più imbarazzata da quella camera.
Certo che poteva lasciare qualche indicazione fuori dalla porta per informarmi di non entrare, non so, magari un elastico nella maniglia o un fazzoletto in tessuto bianco.
Quanto sei pudica!
A proposito di pudicizia, non posso fare a meno di notare con orrore di avere ancora indosso i pantaloncini corti e la canotta stretta messa questa notte solo con la consapevolezza che nessuno mi avrebbe visto.
Non mi sento a mio agio a mostrare tutta questa pelle in giro, ma Elvyra e, a quanto pare, il suo ragazzo sono impegnati nel suo letto e non posso entrare per cambiarmi.
Sbuffo pensierosa, cercando mentalmente un luogo in cui potrei incontrare meno alunni, ma soprattutto zero insegnanti.
Ripenso incerta al retro dell'Accademia visto di sfuggita ieri, rammentando di non aver incontrato alcun professore o Angelo in quel luogo, ma la mia incertezza passa in secondo piano, quando sento alcune porte aprirsi nel corridoio.
A passo svelto ripercorro quindi la scalinata, correndo verso la strada percorsa il giorno prima con la mia compagna di stanza.
Data la mia immensa fortuna, in ogni corridoio incontro almeno una coppia di Angeli, perciò velocizzo il passo non vedendo l'ora di raggiungere quel luogo leggermente più isolato.
Non appena raggiungo il retro mi rilasso, soprattutto notando di essere la sola presente, quindi decido di entrare nell'arena, incuriosita da quel luogo.
Sospiro una volta entrata nel campo, pensando a come sarebbe bello poter usare i miei poteri, poterli anche solo vedere di nascosto, per conto mio.
Guardo le mie mani, insoddisfatta nel sapere che, ancora una volta, la mia maledizione abbia resistito agli attacchi della mia magia.
Cerco di rammentare con tutta me stessa se quella strega avesse citato una data, un'età o anche solo un periodo in cui questa sarebbe cessata, ma non mi viene in mente niente, solo un grosso buco nero. Ormai ho diciassette astri, ne sono passati tredici da quel giorno e comincio a credere che questa maledizione non abbia fine.
Sfioro le vene visibili dai miei polsi, domandandomi cosa celino, cosa custodiscano al loro interno, capace di farmi tanto male.
<<Guarda, guarda chi abbiamo qui>>
D'un tratto una voce derisoria alle mie spalle mi costringe a voltarmi, facendomi inoltre mordere il labbro dal tormento.
<<Mai visto un Angelo in queste condizioni Labal, e tu?>> domanda un Demone al suo amico, sorridendomi lascivo, mentre quest'ultimo nega alla sua domanda.
<<Cosa ci fa una piccola pennuta qui tutta sola?>> chiede questo, avvicinandosi a me e allungando una mano per sfiorare i miei capelli.
Non so cosa stiano pensando di fare, ma d'istinto indietreggio, per niente rassicurata dalle loro occhiate.
Con questi straccetti mi sento meglio, libera e serena solo da sola, mentre adesso, mi sento così spoglia, sporca e vulnerabile difronte a loro. Sento il panico impossessarsi di me, mentre il terrore che possano sfiorarmi, farmi del male e arrivare a tal punto da privarmi della mia purezza mi assale con prepotenza.
<<Niente, ora se non vi dispiace devo tornare in camera, la mia amica mi attende>> dico la prima cosa che mi capita a mente, facendoli però ridacchiare sarcastici.
<<Tu non vai da nessuna parte>> mi dice uno, guardandomi serio con i suoi occhi color oliva.
<<La tua amica attenderà ancora un po'>> ribatte l'altro, recuperando il metro con cui mi ero allontanata da lui.
Le loro occhiate languide e la strana luce che scorgo nei loro occhi mi destabilizzano: guardo alle loro spalle la via d'uscita, sentendomi ancora più spacciata, poi guardo il cielo, quella bellissima luce.
<<Dio>> sussurro <<So che mi vuoi bene...>> dico, lasciando la frase in sospeso.
I due demoni si scambiano un'occhiata divertita, come se fossi completamente fuori di testa, poi, quello dagli occhi color cioccolato, mi afferra per il braccio e stringe la presa, facendomi assottigliare lo sguardo per il dolore.
<<Ora tu vieni con noi>> sussurra al mio orecchio, cominciando a camminare verso l'uscita.
Cerco di staccare la sua presa dal mio polso con l'altra mano, dimenandomi per scappare, mentre le lacrime cominciano a scorrere copiose sul mio viso, quando improvvisamente il Demone fa scontrare la mia schiena contro l'entrata dell'arena, schiacciandomi contro la parete e facendo colorare i suoi occhi di un nero pece.
<<Ti farò molto, molto male piccolo Angioletto, fino a quando non sarai costretta a chiedermi pietà>> mi minaccia, mentre a poco a poco i suoi canini cominciano ad allungarsi, mostrando appena un accenno di zanne.
<<Puoi scordartelo e ora levami le mani di dosso>> sollevo la voce, guardandolo con la stessa intensità e facendo illuminare i miei occhi del loro colore.
Poi però uno schiaffo mi costringe a voltare il viso verso sinistra. Stringo la mascella per il bruciore, sperando e pregando in un aiuto.
Da lontano vedo altri Demoni incamminarsi verso l'Arena, forse per combattere fra loro e alcuni paiono interessati dalla situazione, perciò decido di fare una cosa che noi Angeli abbiamo nel sangue.
Smetterò di piangere, non cadrò così in basso da portargli rancore, lo colpirò con la stessa cosa che a lui manca, il cuore.
Perciò lo guardo, con i loro occhi addosso, pensando che forse potrei mostrare anche loro quanto poco pieghino noi angeli certe azioni e, con non so quale forza, sorrido.
Sorrido con pena, sorrido come si può fare ad un bambino quando, dopo una vita di delusioni, commette una brutta azione.
<<Ti perdono>> gli dico poi, liberando il mio polso dalla sua presa con uno strattone.
Lui fa per riavvicinarsi a me, ma alcuni demoni appena arrivati gli fanno cenno di non muoversi, permettendomi di passare.
Cammino fra loro cercando di non correre, di non mostrare quanto io voglia scappare a gambe levate da qui, quanto la mia guancia bruci, così come il polso, il cui colore comincia ad essere viola.
Fra quei Demoni riesco a scorgere Trevor, che mi guarda di sottecchi e pensieroso, poi finalmente svolto all'interno della palestra, al sicuro.
Il mio cuore smette di battere così rapido e mi lascio andare ad una risata: quando sono nervosa o spaventata sono solita ridere, penso sia l'adrenalina o l'ansia per il pericolo scampato.
<<Oh Padre, ti chiedo aiuto e mandi in mio soccorso dei Demoni>> sospiro, con il sorriso ancora sulle labbra e il cuore più leggero.
È assurdo quanta rabbia avessi prima e quanto leggera io mi senta ora, da quando ho sorriso loro, è come se ciò mi avesse rafforzata, facendomi in gran parte scordare il resto.
Mi incammino verso una meta imprecisa, ma quando su un'insegna nella parete noto la scritta "Biblioteca" e "terzo piano", non posso fare a meno che salire le scale di corsa, speranzosa che, almeno in quel luogo, io possa trovare un po' di pace.

Nemesys: Angeli e DemoniWhere stories live. Discover now