꧁ II ꧂

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Tredici Astri prima.
Era un caldo pomeriggio d'estate, il fruscio dei miei passi e il ticchettio delle sferiche pietre bianche appena calciate sulla strada erano l'unico suono udibile. Concentrandomi un poco però, riuscivo a sentire le preghiere e i canti dei fedeli diretti in gran numero, come soleva ogni giorno, al Pozzo dei Liberati nell'attesa che nuovi spiriti raggiungessero la pace.
Vagai lungo le eleganti strade dell'estesa dimensione con le piccole braccia incrociate al petto, la fronte aggrottata e le lacrime che impetuose solcavano il mio volto senza tregua.
Le mia gote erano certamente di un colore rossastro, a causa delle innumerevoli volte che avevo tentato di eliminare quel dolore e il colorito così intenso entrava in contrasto con la mia pelle diafana e i folti capelli color neve. Le due sole ciocche viola che incorniciavano dal giorno in cui ero venuta al mondo il mio volto, erano intrecciate dietro al capo.
Il fiato pareva mancarmi per la corsa apparentemente senza fine appena affrontata e le mani erano strette in due piccoli pugni a marcare il mio disappunto.
Non ero una di loro, non ero un'anima terrestre alla ricerca della pace eterna e a quei tempi era solo da qualche mese che ero stata costretta a fuggire, a nascondermi in una dimensione così lontana dal mio essere.
La mia mamma mancava come l'aria e ogni notte, fra le quattro mura della modesta loggia dove da pochi giorni abitavo, ero solita osservare il cielo in silenzio.
Lo osservavo, osservavo quella lontana luce da Lui in parte oscurata dalle nuvole per permetterci il riposo.
Non pronunciavo una parola, una preghiera, né tantomeno un rimprovero. Eppure mi rendevo conto di avere tante cose da dire, di aver di che lamentarmi, di avere innumerevoli lacrime da versare, ma rimanevo in silenzio.
<<Non voglio restare qui>> mormorai, calciando l'ennesimo sassolino dal colore così puro.
Non mi ero ancora abituata, il dolore era appena piombato nella mia vita e non riuscivo ad accettarlo.
Senza rendermene conto raggiunsi l'entrata principale di Nemesys; sollevai lo sguardo verso l'imponente cancello candido e il mio cuore cominciò a correre senza sosta.
Mi guardai intorno confusa, avvicinandomi a piccoli passi verso l'uscita, non scorgendo alcun suono, quasi le guardie angeliche al di là di esso non fossero presenti.
Posai una mano sulla fresca superficie, provando con grande speranza a tirare con quanta più forza le mie piccole ed esili braccia erano capaci, senza però alcun risultato.
Improvvisamente sentii ogni speranza svanire, quasi come se qualcuno mi avesse appena versato dell'acqua sul capo, la sentii scorrere via lungo il mio corpo con una rapidità disarmante.
Mi voltai, non riuscendo più a contenere il dolore nell'osservare l'estesa ed elegante foresta, che al di là di quelle sbarre mi attendeva ed implorava di raggiungerla.
Pensai quanto avrei desiderato accontentare il suo volere, correre anche solo per un'ultima volta lungo la distesa color smeraldo, assaporare quei dolci aromi che la natura mi aveva sempre offerto, e perché no?! Sperare anche di incontrare qualche dolce animale: amavo comunicare con loro, ero da sempre in simbiosi con quelle così dolci e benevole creature.
Improvvisamente sentii la luce, quella luce accecarmi: colpì il mio volto con una tale intensità da costringermi a socchiudere gli occhi color viola intenso, ma, con un prepotente impeto di forza, mi costrinsi a sollevare il capo e osservare Dio.
Non compresi la ragione per la quale feci quel gesto, ma decisi comunque di rimanere immobile e decisa ad osservarlo, a fronteggiare quella Luce così piacevole e al tempo stesso inquietante.
"Inquietante", se mia madre avesse potuto sentirmi mi avrebbe certamente rimproverata.
Poi però accadde l'inevitabile: quella luce deviò la sua intensità verso il cancello e un debole suono metallico si susseguì nell'aria.
Senza pensarci due volte sorrisi, decisa a mostrargli gratitudine e mi diressi con gioia verso lo spazio creatosi, sufficiente a farmi sgattaiolare fuori dalla dimensione.
Feci appena in tempo ad osservare due guardie appostate fuori dal cancello e smisi di respirare impaurita: d'istinto sollevai il cappuccio color ossidiana del mio grande mantello sul capo, cercando di nascondere quanto possibile i miei capelli.
Ogni mio timore però si mostrò vano, quando queste caddero delicatamente sul terreno assopite.
Le mie labbra si schiusero dallo stupore e qualche rapido passo verso la vegetazione sfuggì al mio controllo, ma improvvisamente mi fermai.
Il pensiero che nonostante tutto il Padre avesse deciso di aiutarmi mi riempì il cuore di gioia, quindi voltai il capo verso il cielo, rivolgendomi a quella luce e sorridendo piano.
<<Ti ringrazio, tornerò presto>> promisi.
Poco dopo il vento fresco accarezzava con prepotenza il mio volto, le delicate foglie e i rami circostanti sfioravano e in parte graffiavano le mie gambe, un poco scoperte dal dolce abito azzurro che indossavo.
Il cappuccio del mantello lasciò volare liberi i miei capelli, i quali si mossero nell'aria quasi non ci fosse alcuna forza in grado di contrastarli.
La mia risata riecheggiava nella foresta, le mie iridi viola erano piene di vita e i soavi suoni della natura cullavano il ritmo del mio cuore.
D'un tratto però sentii un'altra risata sovrapporsi alla mia, un suono diverso da quelli che ero solita udire: sembravano quasi risa di scherno.
Mi fermai riprendendo fiato e i capelli smisero di librare nell'aria, sparpagliandosi sul mio viso, accarezzandomi la pelle e facendola rabbrividire per la loro fresca temperatura.
<<C'è qualcuno?>> domandai confusa, sistemando i capelli nella loro originaria posizione.
La risata riecheggiò nell'aria e poco dopo un bambino, probabilmente poco più grande di me, sbucò fuori dal tronco di un albero.
Lo guardai incuriosita e al contempo timorosa: ero solita stare per le mie, non avevo mai avuto modo di giocare con qualcuno della mia età o anche solo di parlarci.
<<Ti sei persa, angioletto?>> domandò il bambino, sollevando gli angoli delle labbra e portando il mento in su.
Rabbrividii all'istante nel sentire quel nomignolo uscir fuori dalle sue labbra e mi dondolai sui talloni, preferendo non rispondere.
Osservai invece per la prima volta quanto fosse strano quel bambino, uno strano nel senso di diverso, un diverso piacevole: aveva i capelli corti così scuri da apparire dello stesso colore del mio mantello, la carnagione era olivastra e gli occhi invece erano dello stesso colore del ghiaccio.
Non avevo mai visto un Angelo così e questo mi mise in allerta, quando le parole di mia madre riguardo la storia delle dimensioni, mi attanagliò il petto per il timore.
<<Un Demone>> mormorai sorpresa, guardandomi intorno alla ricerca di una via di fuga.
Non ne avevo mai incontrato uno e non riuscivo a capacitarmi della sfortuna che in quel momento mi aveva colpita.
<<Il tuo timore è piacevole>> disse, incamminandosi verso di me e facendomi di riflesso indietreggiare.
<<Dove sono?>> chiesi, sperando in cuor mio che non mi facesse del male. Mia madre me ne aveva raccontate tante, nonostante i suoi occhi mi suggerissero sempre di stare in allerta, ma di non cedere mai al pregiudizio.
Sentii una morsa di nostalgia al pensiero del suo delicato volto e del suo dolce e rassicurante sorriso e pensai, che niente di più sgradevole come la sua morte sarebbe potuto capitare, quindi raddrizzai la postura, sollevando il mento proprio come quel bambino.
Lo vidi inarcare entrambe le sopracciglia color pece in un'espressione di puro divertimento.
<<Siamo al Confine>> sollevò gli occhi al cielo, aggrottando poi la fronte nell'osservare i miei occhi.
Distolsi lo sguardo da lui arrossendo: nonostante fosse un demone lo trovai di bell'aspetto e non ero abituata né a parlare con altri bambini, né ad essere osservata così intensamente o a lungo.
Lui infatti mostrò fin dal principio questa sua caratteristica: non distoglieva quasi mai lo sguardo, soprattutto quando parlavo, quasi volesse scorgere ogni dettaglio riguardo il mio pensiero, come se mi stesse costantemente studiando.
Per un attimo dubitai che potesse leggermi nel pensiero e cercai in ogni modo di non pensare cose sciocche.
<<Il Confine?>> domandai preoccupata.
Senza accorgermene avevo raggiunto il Confine tra Paradiso e Inferno, eppure non avevo sentito alcuna ineguatezza, adrenalina o timore. Pensai che forse ero stata inebriata dalla natura a tal punto da non accorgermene.
<<I tuoi occhi sono strani>> fece una smorfia << Anche i tuoi capelli>> aggiunse, sfiorandomi rapidamente le ciocche color viola, ormai sciolte dalle piccole trecce, che le tenevano ferme fino a poco prima.
Improvvisamente le sue precedenti parole risultarono meno importanti, il mio volto si corrucciò e con una manata spostai il suo braccio dai miei capelli.
Il bambino rise, pulendosi teatralmente la mano sulla maglietta color pece come i suoi capelli.
<<Ti sei offesa?>> domandò fra le risate e il mio broncio si fece più esteso.
<<I miei capelli e gli occhi sono le cose di cui vado più fiera, di certo non sarà l'opinione di uno stupido Demone a buttarmi giù>> sbottai, sentendo una strana sensazione di calore propagarsi nel mio petto.
Le mie mani cominciarono a tremare, mostrando un'emozione che poche volte avevo sentito, eppure dal suo solo contatto, questa era nata all'istante: la rabbia.
<<Non crederti superiore, angioletto>> sollevò le spalle, emettendo un tono più cupo <<Avevano ragione, voi Angeli credete di essere meglio di noi, vi comportate come se fossimo sbagliati e voi perfetti>> mi guardò truce e al contempo schifato.
<<Non ho mai detto questo>> borbottai, sentendomi improvvisamente in colpa per le mie parole.
Mi diede fastidio vedere la rabbia, il disgusto e la cattiveria aver preso posto sul suo viso, sbaragliando l'ironia e il divertimento di poco prima. Mi ritrovai perfino a pensare, che sentire le sue prese in giro sarebbe stato meglio che provare la sua rabbia.
Non che ci fosse bontà o purezza nei suoi sorrisi, ma mi accorsi di preferirli di gran lunga a quelle parole.
Vidi i suoi occhi colorarsi completamente di nero, per poi tornare come il ghiaccio e ripetere lo stesso processo più volte.
<<Dovrei ucciderti>> disse, assottigliando lo sguardo, mentre le iridi tornavano del loro naturale colore e gli angoli delle labbra si sollevavano, provocandomi angoscia.
<<Per così poco? Mi dispiace averti offeso, ma anche tu l'hai fatto>> aggrottai la fronte, quando dei flebili fasci di luce raggiunsero il mio volto come un richiamo.
<<Devo andare- dissi, incamminandomi verso la strada precedentemente percorsa- come ti chiami?>>

Nemesys: Angeli e DemoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora