꧁ IV ꧂

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Un tuono.
Fasci di luce implodono nel cielo, disperdendosi in mille saette pronte a generarne a loro volta altre, procedendo con continui boati, ognuno più forte del precedente.
La pioggia cade rapida dal cielo, attraversando la pesante coltre di nebbia, che oramai ricopre il bosco.
Sento la terra umida insinuarsi fra le unghie, mentre stringo la presa sul terreno, quasi a voler percepire qualcosa di vivo, perché io, di vivo, non sento più niente.
Altre saette, altri rimbombi, altre grida che si perdono nel vento.
<<Figlia mia, non puoi aver fatto uno sbaglio simile>> sospira una voce in lontananza, che sento solo grazie ad un flebile sussurro, quasi fosse stata la natura stessa a parlarmi.
<<Come puoi definire sbaglio, ciò che genera in me un sorriso?>> singhiozza una voce femminile.
Cerco di sollevarmi dal terreno per cercare l'origine di quelle voci, per poter dare loro un volto, degli occhi, una storia.
Poi il silenzio.
Niente più.
Percepisco solo il terreno farsi più molle, fragile, il mio corpo schiacciarsi contro esso e a poco a poco venirne risucchiato.
Cerco di gridare, di cercare appiglio, ma tutto ciò che le mie mani incontrano è solo fango, fango e ancora fango.
L'acqua cade sul mio volto senza esitare un istante e, a poco a poco, mentre i miei arti vengono bloccati nella morsa della natura, i fasci di luce viola provenienti dai miei occhi si spengono.

Mi sveglio di soprassalto, inspirando quanta più aria possibile, convinta forse di essere ancora intrappolata sotto terra senza una possibile via di fuga.
Tasto il mio corpo ripetutamente, per constatare che io sia in grado di compiere movimenti e quando il mio cuore smette di correre fulmineo nel tentativo di fuoriuscire dal mio petto, emetto un sospiro di sollievo.
<<Era solo un sogno>> mormoro, con la voce impastata dal sonno e la poca convinzione di chi oramai vive nella costante incertezza.
D'un tratto la porta della mia camera si apre, producendo un rumore stridulo, per poi sbattere impetuosamente contro la parete adiacente, facendomi così sobbalzare dallo spavento. Guardo confusa la ragazza dai capelli corvini, che si guarda intorno con espressione altezzosa e schifata, per poi sollevare gli occhi al cielo e posarli su di me.
<<Porca puttana!>> esclama di getto, guardandomi come se fossi la cosa più oscena che abbia mai visto.
<<Un Angelo, un cazzo di Angelo. Oh Lucifero, cosa mai avrò fatto di male?>> grida, lanciando la valigia sul pavimento come se niente fosse. Questa si apre, spargendo così gli innumerevoli vestiti dapprima presenti al suo interno e provocando in lei un sonoro sbuffo.
La ragazza comincia a camminare avanti e indietro per la stanza con le mani fra i capelli, borbottando imprecazioni e talvolta calciando con rabbia i vestiti che si pongono sul suo cammino. La osservo con un cipiglio sul volto, non avendo mai visto tanta frustrazione in vita mia e resto in silenzio, non perdendo d'occhio i suoi movimenti e i repentini sbalzi d'umore, cercando di studiarla.
<<La ucciderò>> sostiene d'un tratto, annuendo sollevata, come se avesse finalmente trovato la soluzione a tutti i suoi problemi.
Punta i suoi occhi verso di me con estrema lentezza, quasi fossi una minaccia da estirpare necessariamente.
<<Non posso vivere un intero anno scolastico in camera con una pennuta tutta sorrisi e dolcezza!>> sbotta, tornando improvvisamente furente.
Il timore che dapprima albergava nei miei occhi, viene pian piano sostituito da un moto di indifferenza, che mi porta a scostare le coperte e dirigermi verso l'armadio, decisa a trovare un cambio adeguato alla giornata.
Trovo dei vestiti già posizionati nei vari scompartimenti e afferro un paio di jeans neri a vita alta e una corta maglia aderente, del medesimo colore dei miei occhi, per poi posarli ordinatamente sul letto.
Vedo con la coda dell'occhio la demone avvicinarsi e osservare con fare critico gli indumenti, prendendo i jeans fra l'indice e il pollice con sguardo stralunato, per poi lasciarli ricadere quando la sua attenzione coinvolge il colore delle mie iridi.
<<Cosa sei?>> domanda, compiendo d'istinto un passo indietro, per poi fermarsi e sollevare il mento con fierezza.
<<Uno stupido pennuto tutto sorrisi e dolcezza>> rispondo ironica, piegando le labbra in un falsissimo sorriso e afferrando gli abiti malamente, dirigendomi verso il bagno.
<<Sono un Demone!>> esclama, cercando in me una qualsiasi reazione.
<<Lo so>> sollevo le spalle fintamente non curante, spalancando la porta del bagno e voltandomi un'ultima volta verso di lei.
<<Come ti chiami?>>
<<Elvyra>> risponde, dopo un attimo di esitazione <<E comunque non azzardarti a toccare le mie cose, o sei morta! Me ne infischio delle regole di questa Accademia>> aggiunge subito dopo, nel tentativo di recuperare i sui toni burberi.
<<Silver>> dico semplicemente, richiudendo la porta alle mie spalle e dirigendomi verso il box doccia.
Libero il mio corpo dagli abiti di ieri sera con i quali mi sono addormentata, incrostati di sangue e in parte strappati dalla fuga nella foresta.
Mi lavo rapidamente, lasciando che il profumo di vaniglia del bagnoschiuma inebri la mia pelle candida e dopo soli dieci minuti avvolgo il mio esile corpo nell'asciugamano azzurro, tamponandolo per eliminare le gocce d'acqua presenti.
<<Muoviti, devo andare in bagno>> grida la mora dall'altra parte della porta, proprio mentre sciolgo i capelli dalla coda in cui li avevo legati per non bagnarsi, sistemandoli ordinatamente con le dita. Sorrido poi nel sfiorare le due ciocche boccolose viola ai lati del mio viso, facendo così comparire due fossette sulle guance, adorando quel colore così vivace.

Nemesys: Angeli e DemoniWhere stories live. Discover now