Memo 6 - Una vera famiglia

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N.d.A.: Questo racconto è dedicato a tutte le vittime dell'attentato omofobo-terroristico del 12/06/2016 avvenuto nel club Pulse di Orlando, Florida. Una lacrima per ognuna delle meravigliose persone che la nostra grande famiglia ha visto venire meno.

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Wylie era steso in dormiveglia su una fredda panchina arrugginita del parco dietro casa sua. Era un posto dimenticato da tutti, lasciato all'incuria e agli spacciatori. I suoi corti capelli scuri toccavano il metallo mentre i suoi occhi castani cominciavano a chiudersi, arrendendosi al sonno, malgrado la paura di essere derubato ed il vento leggermente freddo. Aveva solo una coperta leggera di lana addosso; l'unica cosa che aveva portato con sé da casa.

Si era appena addormentato quando uno scossone alle sue gambe lo ridestò, facendolo scattare in piedi. Prese una bottiglia vuota di birra dimenticata ai piedi della panchina e la alzò sulla sua testa, pronto a colpire chiunque lo avesse toccato. Si trovò però davanti agli occhi un ragazzo più piccolo di lui evidentemente ubriaco, che cominciò a ridere più del necessario quando lo vide con la bottiglia in aria. Molto probabilmente non si era neanche reso conto di essersi gettato a corpo morto sulle sue gambe.

Wylie si risedette, tremendamente annoiato per la sua presenza, borbottando qualche imprecazione. Sentiva che in quel periodo ogni cosa stava andando per il verso storto e ovviamente tutti i mali non venivano mai soli.

"Che ci fai qui amico?" chiese il ragazzo, dopo un sonoro singhiozzo.

"Ma che ti frega?"

"Scusa amico, non ti ho mai visto da queste parti."

"Posso dire la stessa cosa. E non chiamarmi amico" rispose seccato.

"Questo è vero," disse e poi sorrise a se stesso, "è la prima volta che mi ubriaco sul serio."

"O Gesù, solo questa mi mancava" si lamentò Wylie ad alta voce.

"Vuoi sapere perché?"

"No, ma tanto sono certo che me lo dirai lo stesso, vero?"

"Mi fa piacere che ti interessi. Sono gay." Alzò la lattina che aveva in mano come se stesse facendo un brindisi.

"E tanti auguri!" Wylie rise nervosamente.

"Nel senso che l'ho detto alla mia famiglia, tipo..." Controllò l'orologio che aveva al polso. "Tre o quattro ore fa. E mi hanno cacciato di casa" disse, smise di respirare per qualche secondo e poi rise di gusto. "Quei fottuti malati di chiesa."

Wylie sbarrò gli occhi per la situazione assurda in cui si trovava il suo vicino di posto. Però pensò che quel linguaggio, per quanto fosse decisamente brillo, non si addicesse al suo aspetto.

"Che farai adesso?" chiese Wylie, più preoccupato che curioso. Stava facendo venir fuori la sua vera indole, a dispetto di tutti i problemi che aveva per la testa.

"Che dovrei fare? Mi cercherò una casa, ho aspettato apposta che avessi diciott'anni" rispose, ritornando inaspettatamente serio e guardando Wylie con i suoi occhi grigioverdi.

Wylie sbuffò esasperato. "Io dovrei dormire." Era ritornato a pensare solo e soltanto a se stesso.

"Fai pure, non ti do mica fastidio" disse il ragazzo con tutta la naturalezza possibile.

"D'accordo" disse Wylie, già infastidito, stendendosi addosso la coperta e appoggiandosi con le spalle sulla panchina. "Ma che male ho fatto?"

Passarono un po' di minuti, durante i quali il vento aveva preso a soffiare più forte, facendo rabbrividire di tanto in tanto entrambi i ragazzi. Wylie, ad un certo punto, fu sicuro di aver sentito l'altro vomitare in una delle aiuole poco lontane da loro. Riaprì solo un occhio, per assicurarsi che non si stesse strozzando.

Memo - RaccontiWhere stories live. Discover now