Memo 5 - Le albicocche

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Si avvicinò cauto, a passi misurati, verso il luogo che meglio conosceva sulla faccia della Terra. Luogo di sani divertimenti, ma anche di tristi incontri e futili discussioni. Un luogo che si era trascinato sulle spalle per molti e molti anni, che aveva visto crescere col tempo, che aveva quasi lui stesso cresciuto, con le sue braccia, insieme a quelle di molti altri. Forse anche loro si erano evoluti ed erano appassiti mentre i mesi scorrevano. Ma quel palazzo no, aveva assunto splendore e sempre maggiore maestosità e magnificenza. Era diventato quasi un tempio, un bunker con i fiori lasciati ricadere sulle ringhiere come boccoli colorati.

Indossò il cappello che prima teneva in una mano. Bianco, con la falda poco sporgente; un piccolo paglierino con un nastro decorativo tenuto stretto intorno ad esso da un esile fiocco. E oltrepassò l'uscio del primo piano di quell'edificio, forse solo leggermente più anziano di lui, trattenendo il respiro, provando una commistione delle emozioni più disparate, dalla contentezza al timore più potente. Si strinse piano nel suo completo azzurro tenue, sistemandosi al meglio il foulard floreale che portava al collo, per farsi coraggio. Non voleva sfigurare, né far pensare il peggio della sua ormai persa generazione.

Rimase folgorato da ciò che gli diede il benvenuto all'interno. Nulla era rimasto come la sua mente ricordava, ogni singola cosa aveva trovato una nuova ubicazione, malgrado la maggior parte degli oggetti, che riempivano la allora piccola stanza, non riuscisse più a scorgerli all'interno di quelle mura messe a nuovo. Nel momento in cui quel posto era stata la sua seconda casa e la gente che lo abitava era diventata la sua seconda famiglia, l'aspetto di quelle pareti era ben diverso; spoglie, sporche, tristi. I mobili, le librerie cadenti, le poche piante nei vasi rossi, avevano un'aria tetra, non trasmettevano certo sensazioni positive. Non facevano sembrare l'ambiente accogliente, facilmente invece avrebbero potuto incutere ad un ignaro passante solo tristezza e sconforto, avrebbero potuto far provare pena nei loro confronti. Ma non tutti conoscevano, come lui, una per una, vita per vita, sogno per sogno, le persone che popolavano quell'ambiente grigio, che lo rendevano un prisma di vetro in grado di catturare e di riemettere tutti i colori che gli uomini fossero in grado di mettere a fuoco.

Quando l'uomo, a distanza di molti, troppi, anni, si affacciò di nuovo in quelle quattro mura, le trovò ampliate, più luminose e confortevoli. Tutt'intorno riusciva a riconoscere musica all'avanguardia e di gusto, scaffali su scaffali stracolmi di libri, divisi in modo più che ordinato, vedeva giovani uomini e giovani donne raccolti lì a chiacchierare con il sorriso sulle labbra, come se fosse la cosa più scontata e normale dell'universo essere lì. Come se fosse semplice.

Ricordava ancora di quando lui era costretto a depistare i suoi genitori e i suoi conoscenti per raggiungere quel palazzo storico e riunirsi con altri uomini e donne, allora giovani. Ma loro non potevano parlare del più e del meno, non erano lì per trascorrere serenamente il tempo, in buona compagnia. Se erano stati spinti ad essere lì, era perché c'erano il terrore e la paura dentro e fuori di loro. Venivano sicure contro di loro, ma, allo stesso tempo, provenivano anche da loro stessi. Erano lì solo per discutere, a volte anche in maniera troppo accesa, portando all'eccesso un dibattitto nel quale ognuno di loro, preso singolarmente, era colpito allo stesso esatto modo, ma che alcuni sentivano più pesantemente di altri. Questo li spingeva a stare lì, decidevano come schierarsi, come sistemare le loro fila, malgrado non riuscissero neanche a racimolare un numero di persone sufficiente per giocare a calcio. Ma erano lì, per loro stessi ovviamente, ma anche per quei giovani che quell'uomo vedeva camminare davanti ai suoi occhi, nei colori e negli abiti che a loro più piacevano. L'abbigliamento che più li rappresentava, che più li faceva sentire loro stessi, a loro agio.

E l'uomo, già in avanti con l'età, si sentì da subito accolto lì, in quel luogo. Si sentiva cullato da tutta quella gente, ma soprattutto dall'arcobaleno che correva trionfante e solenne lungo ogni centimetro di muro, che copriva ogni spazio delle pareti, relegando nel passato il grigiore, la paura, la tristezza, il senso d'isolamento. Quell'arcobaleno lo aveva sentito sempre suo, ma non avrebbe mai potuto prima di allora esporlo o osservarlo con così tanta sicurezza. Lo stretto nastro del suo cappello era l'unica cosa che potesse richiamare quella sua seconda casa, quello era tutto ciò che gli era rimasto tra le mani. Non aveva mai osato prima far sapere alla gente qualcosa di sé, in modo talmente evidente, ma non poteva più trattenere il richiamo che da tempo sentiva, come fosse una lontana eco, nelle sue orecchie.

Continuò a guardarsi intorno senza dare nell'occhio, senza richiamare su di sé l'attenzione. Un angolo del fondo della grande sala era riempito con decine e decine di cornici, appese ordinatamente per contenere altrettante fotografie in bianco e nero, sbiadite e rifilate dalla forza del tempo. Ogni foto aveva una propria targhetta che citava il nome della persona nella fotografia, con una sua citazione. All'uomo venne quasi da piangere, lì, a scena aperta, perché c'erano tutte le persone che lui più ammirava, da sempre. Provenivano da diverse epoche, avevano vissuto diverse storie, ma tutte si incontravano in quel punto. Alan Turing, Oscar Wilde, Larry Kramer, Andy Wharol, Walt Whitman, Truman Capote, e molti altri ancora, ognuno di loro aveva contribuito, a proprio modo, a far crescere e prosperare quel luogo, quel piccolo grande palazzo, insieme a molti altri suoi simili.

Ma per lui fu ancora più scioccante vedere il suo volto di un tempo, insieme a quelli di tanti altri giovani, di cui avrebbe potuto facilmente far ritornare a galla nomi e cognomi, incorniciati e lasciati anch'essi come promemoria su quella parete variopinta. Rimase ad ammirare quegli scatti, che ricordava perfettamente, come fossero stati prodotti una manciata di giorni addietro, per diversi minuti, non accorgendosi neanche del tempo che non cessava di scorrere. Si stava perdendo tra i ricordi, tra quelle memorie rimaste talmente vivide che riusciva ancora a sentire sulla sua pelle la sensazione di protezione, forza e sicurezza che gli donava la bandiera arcobaleno, riprodotta nelle foto in un'effimera scala di grigi, quando usava mettersela sulle spalle e annodarsela al collo, come fosse il mantello di un supereroe. Ci rifletté per un po' e poi arrivò alla conclusione che qualcuno avesse voluto dipingere quello stesso arcobaleno lungo quelle quattro mura proprio per quel motivo, perché infondesse sicurezza anche a quei giovani. Ne avevano bisogno, non solo per continuare a duellare con fermezza e destrezza, ma anche perché avevano un'importante eredità in mano, e non dovevano sciuparla o dimenticarsene.

Era ancora intento a rimestare quei reperti, con un sorriso di cuore sulle labbra, quando si sentì sfiorare la spalla sinistra. Si voltò, non credendo che qualcuno avrebbe voluto parlare con lui, e rimase sorpreso trovando davanti ai suoi occhi scuri un uomo della sua stessa età. Anche i suoi capelli erano striati di bianco, come anche la sua pancia che, similmente alla sua, era diventata, con il passare degli anni, sempre più prominente. Ma riusciva comunque a scorgere un accenno dello spirito che aveva sempre posseduto il corpo dell'uomo che gli stava davanti. Nei suoi occhi c'era ancora quello sguardo attivo e caparbio che aveva conosciuto anni addietro e che gli aveva permesso di fare affidamento su di lui.

Reggeva nelle mani una piccola busta di carta marrone e quando gli confermò di essere chi lui aveva sospettato che fosse, anche sul suo volto si accese una luce particolare. Come se in quella calotta di forza, sicurezza ed unione, che insieme avevano fatto in modo di far nascere e far diventare così, fossero già da tempo destinati a rincontrarsi e a ritornare al passato insieme. Si scambiarono un breve abbraccio, e si unirono al modo di fare del resto della gente. Cominciarono in breve a chiacchierare appassionatamente, a commentare quel posto e a scambiarsi ricordi perduti o diventati confusi col tempo, come se fossero ritornati una seconda volta nel passato.

Solopoco prima di lasciarsi, con la sera che era sul punto di calare, l'uomoricevette tra le mani una semplice albicocca. L'altro uomo gliela porse, dopoaverla estratta dal suo involucro di carta, perché sentiva che era statopiacevole parlare con lui dopo tanto tempo. L'uomo la accettò ringraziandolo epoi si salutarono ancora, portandosi alle spalle quei tanti colori e ricordi.Andarono ognuno per la propria strada. A completare le loro vite. Si eranoaccertati entrambi che i loro sforzi non fossero stati vani e felicementepotevano dire che, come per le albicocche, anche quel luogo aveva avuto bisognodi tempo per maturare fino a quel punto e che aveva avuto bisogno di supportoper sconfiggere al meglio gli ostacoli che gli si erano piazzati davanti, come ilfreddo o la grandine per il frutto. O ancora le malattie e questo non solo peril frutto. Ma alla fine erano tutti riusciti a crescere e a diventare qualcosadi meraviglioso da gustare e da vivere per ognuno dei sensi umani.   

Memo - RaccontiWhere stories live. Discover now