Memo 4 - Il viaggio

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Un gruppo. Un mezzo. Un obiettivo. Una meta. Questo li accomunava tutti, nel buio di una galleria. Entrare nel freddo corpo della montagna era sempre un'esperienza surreale, come se si stesse accedendo ad un mondo parallelo, sempre stato lì, ma mai visitato lucidamente. Un mondo con regole e modi di fare totalmente diversi. Un mondo nel quale, con il nero attorno, tutto è permesso, a tutti. Un mondo perfetto.

Era facile vedere a nudo ogni singola persona all'interno di quell'universo. Vedere i loro corpi muoversi e contorcersi su loro stessi solo per il puro desiderio di instaurare rapporti o di sfruttarne alcuni già creati, tenuti in piedi e resi più forti proprio da questo. Lo stare in compagnia, a prescindere da tutto e da tutti. Fare piani per il futuro, forse troppo lontano anche solo per essere immaginato, ma farci comunque affidamento su quei progetti, per non accontentarsi semplicemente di questa prima meta, per mirare a cose ben più grandi, più alte, agli occhi di tutti irraggiungibili. Era facile anche credere ad ogni singola parola, emozione, far passare per candida ogni menzogna e per amore ogni palpitazione. Guardarsi attorno e scoprire le bellezze e le debolezze di quei corpi, di quelle persone, di quei poco sfaccettati imprecisi riflessi dell'anima; era unico, anche se sapeva di quotidiano.

Anche i suoni facevano la loro parte. Sentire tutt'intorno musica e allegria, cori gioiosi cantare all'unisono canzoni vecchie e nuove, o pensate al momento, in preda ad un impeto di inventiva e fantasia. E forse era questa l'unicità del viaggio: la fantasia, le sue ali morbide e magiche che fanno sembrare ogni luogo un vero paradiso in Terra, malgrado l'apparenza fosse esattamente opposta. Malgrado i cori fossero stonati, malgrado l'odore di quei corpi fosse di acido e aspro sudore, malgrado i movimenti d'allegria causassero solo altri dolori alle schiene affaticate, tutto sembrava inimitabile ed irripetibile.

E poi arrivare, giungere all'agognato obiettivo, sentire il rumore del motore d'un tratto arrestarsi e i corpi per reazione accelerare, forse ancora succubi dell'inerzia del moto costante e ripetitivo, desiderosi solo di lasciare quel mezzo fermo e librarsi nell'aria aperta. Alle spalle tutti quei chilometri di strada percorsa senza neanche accorgersene, alle spalle quel sentore di quotidianità e quegli spettri impauriti del nuovo e del mai toccato con mano. Avvertire la carezza del Sole sulla pelle, mentre il vento faceva di tutto per spazzarla via e farla diventare vana, ed i polmoni tentavano di arraffare quanta più purezza, facendo scorta di quell'aria pulita. Abbandonarsi tra l'erba e diventare un tutt'uno con il cielo e la terra e ancora, continuare con gli sproloqui, quelli che erano diventati quasi deliri di onnipotenza, mentre di nascosto il fumo denso e chiaro veniva sputato dalle narici e avviluppava tutto, unendosi segretamente al resto della miscela di gas nell'aria.

Tutto scorreva, velocemente, fin troppo e, alla fine del giorno, con il rosso e il viola sulle teste, l'unica cosa che faceva ritornare il tempo a scorrere normalmente era il ritorno sulla strada, sull'asfalto che si andava pian piano raffreddandosi con l'arrivo della notte. Il nero inghiottiva tutto. Le gallerie, quei mondi perfetti si univano con il resto del nostro mondo. Non si riuscivano a distinguere più. La notte ingollava le anime in un sol boccone, voracemente. Non le lasciava più libere di volare, come in quei mondi immensi, si nutriva di tutte le loro effervescenze, dei loro talenti e delle loro passioni, e lasciava i corpi vuoti, fiacchi e flaccidi ad andare inevitabilmente incontro al termine del viaggio. Si vedevano i più piccoli stropicciare teneramente gli occhi, sbattendo velocemente le palpebre, e accucciarsi ancor di più contro una spalla o un sedile, provando a sconfiggere l'effetto soporifero della notte. Tutto cominciava a diventare più calmo e tenue, tutto si addolciva con pochi sussurri e qualche bisbiglio. Forse per la tristezza che la consapevolezza di non poter godere più della stessa sensazione nello stesso esatto modo dava. Forse perché si stavano consumando le energie per realizzare e ripercorrere tutto ciò che era accaduto in un solo giorno, tutte quelle nuove esperienze fatte in un lasso di tempo di solito più inutile che altro. Ci si stava sprecando per conservarle, immagazzinarle, così da poterne fare tesoro in futuro.

Ecapire, solo quando ci si ritrova, senza neanche sapere chiaramente come, conun sorriso sul volto, tra le coperte, nella propria casa, quella di sempre, chea questo servono i viaggi: ad entrare in quei mondi perfetti, idilliaci, soloper il tempo bastevole a trarne qualcosa, sapienza e divertimento. Queste sono bastevoliper sopravvivere nel mondo reale solo per un altro po', ma nei mondi perfettici si ritorna sempre, ci si deve ritornare.

Memo - RaccontiWhere stories live. Discover now