Memo 2 - Una lettera

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È l'ultimo foglio della pila. Lo afferro forse troppo bruscamente, facendo raggrinzire i due sottili strati di carta a righe. L'inchiostro blu ha impregnato i fogli con una calligrafia molto gentile, esile e aggraziata, oserei dire quasi femminile, a dispetto del nome che riporta al principio del testo: Josh. Mi ha colpito quel ragazzino. Aveva un sorriso triste e mi è stato difficile distoglierlo dal mondo dei suoi pensieri. Ho bisogno di capire cosa si trattiene dentro. Comincio a far scorrere gli occhi tra le righe blu.

Ciao, io sono Josh. Ho quattordici anni. Non ti conosco, però, come primo compito che la professoressa ci ha assegnato, a quanto dice per conoscerci meglio, devo scrivere una lettera ad un amico immaginario riguardo una persona a cui voglio bene più di un mio braccio, in poche parole. Forse gli altri inventeranno qualcosa dal nulla, o forse scriveranno le solite cose riguardo i propri genitori, i propri fratelli o i propri nonni. Ovviamente non ho nulla contro di loro, è solo che io non ho fratelli, i miei nonni, proprio quando stavo affezionandomi più a loro, sono andati in cielo, e i miei genitori, potrai capire da solo il motivo per il quale mentirei se dicessi di volere loro anche solo un po' di bene. Ma sto tergiversando - spero che tu capisca cosa stia dicendo perché ogni tanto mi sfugge una parola complicata, ma non so che età dovrei immaginare che tu abbia, anche se tu comunque non esisti e francamente credo sarà solo la professoressa alla fine a leggere questa lettera - ti devo raccontare della persona a cui voglio più bene al mondo, malgrado tutto e tutti.

Questa persona di cui ti parlerò è un ragazzo, si chiama Chris, ha la mia stessa età. Ci siamo conosciuti due anni fa. Avevo appena cambiato scuola, perché mio padre aveva dovuto trasferirsi, per l'ennesima volta, per lavoro e noi, come sempre, dovemmo seguirlo in una nuova città. Ogni volta dovevo ricominciare da capo, tutto da zero, ma questo non sembrava essere un suo problema. Infatti, mi trovavo, come da consuetudine, da solo nella mensa della nuova scuola, intento ad affettare una mela verde con un coltellino di plastica, prima di mangiarla. Di solito una mela si mangia a morsi, lo so, mi piace però, anche solo per perdere un po' di tempo, fare le cose più minuziosamente. Fu proprio in quel momento che conobbi Chris, quando si sedette al mio stesso tavolo, forse con un eccesso di fiducia, quasi sicuramente ingiustificata, e mi chiese, come se ci conoscessimo da sempre, come stessi. Con un sorriso gli risposi che mi andava tutto bene, ma che ovviamente non avendo amici e non conoscendo nessuno, ero un po' triste. Volevo fare un po' il cane bastonato, però Chris mi fermò, dicendomi con una facilità e una naturalezza disarmanti, che sarebbe potuto diventare lui il mio amico. Aggiunse, con un sorriso che ancora ricordo precisamente nella mia mente, che avevamo già una cosa in comune. Avevamo entrambi diverse fettine di mela sul vassoio, intenti a tagliarle come fossero dei tonni rossi, con i coltellini bianchi della mensa. Scoppiammo a ridere. Non avevo mai conosciuto nessuno di così vero e simpatico.

Sfruttando anche l'occasione di recuperare alcune lezioni saltate, continuammo ad incontrarci, in pratica solo a casa mia, visto che i miei genitori, come ti ho lasciato intendere, erano sempre fuori per lavoro e affini e quindi non si curavano mai troppo di me. Passare del tempo con lui era davvero una di quelle cose così belle ed uniche da non poterle riuscire neanche con cento parole a descrivere perfettamente, però era speciale e prezioso, questo è poco ma sicuro. Ci capivamo a vicenda io e Chris. Era divertente seppellirci sotto il piumone del mio letto, nelle serate fredde con la neve sui davanzali delle finestre, per raccontarci delle storie che ci inventavamo in quel momento. Saltavamo, giocavamo, ridevamo. Mai tutto questo mi era venuto spontaneo come in quel momento. Ma soprattutto parlavamo. Esausti, prima delle sette di sera, con il buio già calato del tutto, si accasciava sul mio petto. E restavamo così per più di mezz'ora, quasi quotidianamente, stesi sul mio letto. Le nostre scarpe abbandonate sul pavimento freddo. Mi piaceva come strusciava i suoi pedi contro i miei. Mi faceva ridere per tutto il tempo, solleticandomi. Mi piaceva ascoltarlo, adoravo la sua voce. Morbida e calda. Mi piaceva anche toccargli i capelli. Glieli invidiavo da morire. Rispetto alla mia massa informe di spaghetti arruffati, i suoi potevo arricciarli e poi tirarli e rilasciarli facendoli ritornare al loro posto come fossero tante piccole molle castane. Profumavano sempre di buono, di dolce, di casa, di famiglia.

Memo - RaccontiWhere stories live. Discover now