"È arancione chiaro, come i tuoi capelli." Affermò sicuro, e annuì. Lydia si voltò contrariata, mostrando uno sguardo accigliato: "I miei capelli non sono arancioni, sono biondo fragola! Lo dice sempre anche la mamma."

La piccola incrociò le braccia al petto mentre Stiles si prendeva gioco di lei. Lui lo sapeva che i suoi capelli erano biondo fragola, Lydia glielo ripeteva sempre con entusiasmo perché diceva che pochi avevano il suo colore di capelli, ed era la cosa di cui andava più fiera.

"E allora hai trovato una casa per molluschi biondo fragola."
" Non chiamarla così, è una conchiglia.
C O N C H I G L I A."

Lydia prontamente gli fece lo spelling delle lettere come se fosse un po' stupido, e sapeva che niente lo irritava come quando gli altri lo prendevano per stupido.

"Conchiglia sembra il nome di una cosa bella, invece io ti ricordo che lì dentro c'era un mollusco molto viscido."

"Anche Stiles sembra il nome di una cosa bella, eppure ci sei tu!"

Lydia cominciò a ridere, poggiando la testa sulla sabbia morbida. Per un momento si scordò dei granelli che le sarebbero finiti tra i capelli e che la mamma avrebbe scoperto, si dimenticò anche del mollusco viscido e della sabbia che le bagnava le gambette bianche.

Stiles, dapprima contrariato, iniziò a seguirla a ruota in quella risata che aveva sempre definito "contagiosa", una parola che aveva letto in un libro di suo padre e che significava "che si trasmette facilmente agli altri".

Si stese al suo fianco ridendo a crepapelle, con la pancia gli faceva male. Era un pomeriggio di dicembre, i piccoli Stiles e Lydia ridevano e le onde accarezzavano la sabbia: andava tutto bene e sapevano che niente sarebbe cambiato.

O almeno credevano.

Era una mattinata d'Aprile quando Lydia Martin, ormai diciassettenne, si svegliò con uno strano presentimento.

Era difficile che succedesse qualcosa nei dintorni della sua piccola casetta, in quel minuscolo quartiere di Jacksonville, in Florida, eppure quel giorno lei lo sentiva.

Ci metteva sempre un paio di minuti prima di aprire completamente gli occhi, aspettava che i raggi del sole le illuminassero gli occhi verdi facendoli sembrare quasi del colore dell'erba bagnata.

Si alzava in fretta, non era mai stata pigra e mai lo sarebbe stata, si affacciava alla finestra e prendeva una grande boccata d'aria.

Quella mattina, come qualunque altra, spostò le tendine e si affacciò, tenendo i gomiti sul davanzale. Subito un grande camion destò l'attenzione della ragazza, che si incuriosì e si sporse, per poter capire meglio di cosa si trattasse.

Il grande camion di una ditta traslochi a lei sconosciuta era lì, fermo, dinanzi alla casa che tanto aveva adorato anni prima.

Un brivido le corse lungo la schiena, il primo pensiero, istintivo, che la attraversò, era che non potevano. Non potevano prenderle quell'abitazione a cui era tanto affezionata, a cui spesso dedicava qualche ricordo di sfuggita, a cui spesso aveva svelato dei segreti solo - o quasi - suoi.

Scese giù le scale che la portavano in cucina come una furia, l'odore delle fette di pane tostate le inebriava le narici e le accendeva la fame, eppure Lydia pensò che in quel momento mangiare non fosse la cosa più importante.

"Mamma, buongiorno." 
Natalie Martin si girò verso la figlia ancora con un pezzo di pane tostato in bocca, lo tolse poi per parlarle. 

"Lydia, perché sei scesa in pigiama? Se non ti muovi, farai tardi!"
Lydia sbuffò camminando verso la finestra della cucina che dava sulla casa di fronte, giusto per assicurarsi che ciò che aveva visto precedentemente non fosse solo un miraggio, un brutto scherzo giocatole dal suo cervello.

Eppure il camion era ancora lì, fermo; degli uomini in jeans e t-shirt portavano dentro pezzi di mobilio e la ragazza da lontano riuscì a scorgere l'ingresso di quella casa, spenta e vuota da anni ormai.

Ricordi le riaffiorarono e si composero insieme come pezzi di puzzle, ma lei li scacciò via per dar spazio alla logica, per capire.
"Che sta succedendo, di fronte?"

La signora Martin guardò Lydia con un'espressione strana, gli occhi verdi che aveva regalato in dono alla figlia alla sua nascita le si illuminarono, anche se al contrario le sue labbra erano contratte, come a non voler dare una risposta.

Stava per risponderle nonostante la difficoltà, nonostante le parole le si bloccassero in gola quando il timer del bollitore suonò e la rossa capì che si stava facendo irrimediabilmente tardi.
Corse di sopra dicendo qualche parola in fila come "Me lo dici dopo" e riuscì a non pensare ai suoi ricordi d'infanzia mentre si lavava e si vestiva per andare a scuola.

L'atrio della Sandalwood High School in primavera era terribilmente illuminato, gli alberi verdeggianti facevano chiazze d'ombra tutt'intorno, l'ideale per sedersi quando si voleva saltare una lezione e rimanere in pace.

Allison Argent era una ragazza molto bella, anzi, bellissima, e aveva un sorriso da sciogliere i ghiacciai: una risata che le illuminava gli occhi castano scuro e le metteva in mostra le fossette.

Lei e Lydia s'erano incontrate un giorno di settembre, al club di arte del primo anno: Allison le aveva chiesto un pezzo di gomma pane e lei gliel'aveva dato.
Non s'erano più separate.

Quella mattina, che tanto strana s'era rivelata, la mora parlava e parlava, come sempre, eppure Lydia non riusciva ad ascoltarla: era troppo impegnata a pensare ad altro.

"Lyds, mi ascolti?!"
La rossa si voltò verso di lei, come risvegliata dal coma dove i suoi pensieri l'avevano portata.
"Sì, Allison, certo che ti ascolto ..."

Eppure, se in quel momento la giovane le avesse chiesto ciò che aveva detto, Lydia non avrebbe saputo ripetere una sola parola.

Continuò a fare stretching per poter iniziare la lezione di atletica a cui la loro insegnante, Mrs. Forrest, l'aveva per forza di cose obbligata a partecipare.

"Lydia, dirai mai alla Forrest che correre non è il tuo sogno, o hai intenzione di rimandare l'audizione per le cheerleader di ancora un altro anno? Lo sai che siamo ad Aprile e in questo periodo cercano sempre nuovi membri per il campionato estivo, ho visto qualche volantino in giro."

La giovane allungò le sue dita verso le punte dei piedi, ascoltando ciò che la sua amica aveva da dirle.

"Posso sempre fare l'audizione l'anno prossimo e fare atletica ora, in fondo sono veloce."
"Non metto in dubbio che tu sia una freccia, solo che questo è il penultimo anno e l'anno prossimo sarai troppo impegnata con il college e tutto il resto per poterti dedicare alle cheerleader."

La rossa non poteva darle certo torto, eppure qualcosa l'aveva sempre fermata dal provarci, dal mettersi in gioco.

Finito il riscaldamento cominciò la corsa ad ostacoli e Lydia sfrecciò come un treno, mentre Allison cercava di starle dietro senza successo. Saltò un ostacolo dopo l'altro ripensando a ciò che le era accaduto quella stessa mattina, a quella casa che tante gioie le aveva dato e  che ora avevano preso.

Non era più proprietà solo dei suoi ricordi e di chi un tempo la possedeva, era di un' altra persona: qualcuno avrebbe camminato dove aveva camminato lei, si sarebbe affacciato dove si affacciava lei, avrebbe mangiato seduto al suo posto preferito.

Si girò verso gli spalti per vedere chi era seduto intorno a lei.
Due ragazze studiavano.
Una coppia di fidanzati prendeva il sole.
Alunni.
Alunne.
Un cagnolino.
Stiles.

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