cap. 11

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C'è qualcosa di più bello di addormentarsi abbracciati?

Forse si, ma a me, nella mia insulsa e breve vita, non è mai capitato niente di meglio. Mi sono sentita al sicuro, protetta dalle sue braccia forti. Il suo respiro caldo ad accarezzarmi la pelle, i suoi battiti sincronizzati ai miei a cullare i miei sogni.

Stendo i muscoli delle braccia e delle gambe e la freschezza del lenzuolo mi fa sussultare. Apro gli occhi di scatto e lui non è più nel suo letto. E nemmeno nella sua stanza.

Sospiro, la delusione mi si appiccica addosso mentre mi perdo a fissare il soffitto.

C'è qualcosa di più bello di addormentarsi abbracciati?

Adesso posso dire che sicuramente non è svegliarsi da soli.

Mi alzo indolenzita e mi vesto senza fretta.

Il suo profumo nell'aria sembra prendersi gioco di me mentre mi muovo per la stanza nella speranza di trovare una spiegazione ad un'ingiustificata assenza.

Ma nessun bigliettino, nessun messaggio, niente di niente.

Eccolo qua. Josh e i suoi silenzi.

Josh e il suo prendere senza darsi abbastanza.

Chiudo la porta e attraverso il corridoio assorta nei miei pensieri. I rumori provenienti dall'esterno mi informano che per il resto dell'albergo la mattina è iniziata già da un pezzo.

Arrivo in camera e mi infilo direttamente sotto la doccia.

Lavo via i segni della notte trascorsa sul mio corpo, consapevole che non tutti potranno andarsene del tutto.

Indosso l'uniforme ed esco in cerca di Morena.

Provo a bussare nella sua stanza, ma non ottengo risposta.

Vago per i corridoi, ma di lei non c'è traccia.

Decido di scendere al bar e mangiare qualcosa velocemente prima di iniziare il turno.

«Ciao Al.»

«Buenos diaz, Emy. Vuoi il caffè?»

Annuisco e mi guardo intorno in cerca dei suoi occhi.

Ma il mio corpo mi avrebbe avvisato dalla sua vicinanza...

E infatti non c'è. Faccio colazione sotto lo sguardo attento del mio collega. «Che c'è?» Chiedo alzando un sopracciglio.

«Niente. Sei... Diversa.» Beh, mi sento diversa.

«Sono solo stanca.» Ma non so spiegare nemmeno a me stessa come mi sento.

«Cortez mi ha chiesto di te prima.» dice, cambiando discorso. Improvvisamente ricordo le sue parole di ieri sera.

Finisco il caffè e saluto Alvaro.

Devo andare a regolarizzare la mia situazione.

Raggiungo la hall e la simpaticona mi fa un sorriso tirato.

Glielo restituisco e apro la porta che porta agli uffici.

Questa volta ricordo la strada, così la percorro a passo spedito. Arrivo davanti al suo ufficio e alzo la mano per bussare, ma la voce di Cortez attraversa il legno scuro e arriva chiaramente fino alle mie orecchie. Le sue parole bloccano il mio pugno a mezz'aria. «Allora, come procede con l'orfanella?»

Il mio cuore si ferma. Sta parlando di me?

«Non ha proprio niente di speciale.» E il mio cuore si spezza.

CRUEL INTENTIONWhere stories live. Discover now