Epilogo.

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Alcuni anni dopo.

Il leggero vento di Agosto le accarezzava il viso leggermente abbronzato, scostandole anche alcune delle ciocche sfuggite dal disordinato chignon in cui erano malamente fermati la maggior parte dei suoi capelli.

Si dondolava leggera sull'altalena che pendeva dal ramo di un maestoso salice piangente con spinte leggere e aiutandosi con la punta dei suoi piedi, la stessa che, pochi anni prima, allora ancora da definirsi suo fidanzato, le aveva costruito in un intero pomeriggio, come semplice atto di amore e con lo scopo di farla sentire a casa. La stessa che, due bambine, di età più avanzata rispetto a quando l'intreccio delle corde fu aggiunto all'intreccio di quei rami, di nome Ginevra e Alissa, amavano contendersi.

La lettera che reggeva tra le mani era bianca, candida, quasi stonava in mezzo a tutti quei colori che caratterizzavano quel giardino, ma una sola e breve frase, impressa con inchiostro nero da mano incerta, interrompeva quella purezza, e indicando allo stesso tempo, il destinatario del contenuto.

"A mia figlia."

Per quanto volesse e stava cercando di negarlo, il coraggio le mancava per compiere un gesto tanto grande, ovvero quello di aprirla e verificarne il contenuto, ma si limitò a fissarla, come aveva fatto per minuti interi.

Un minimo di, se in questo modo può essere definito, coraggio misto anche a quella che sembrava innocente curiosità, aprì finalmente la busta, ritrovandosi, poco dopo, con un foglio ricco di lettere scritte allo stesso modo delle altre.

Righe e righe di parole all'apparenza disordinate caratterizzavano almeno per metà quel foglio altrimenti vuoto, parole scritte da mano tremante, cariche di emozioni soltanto a vederle.

"Mia adorata figlia,
se questo foglio di carta ora si trova tra le tue mani, vorrà dire che tutti i miei programmi affinché ciò accadesse sono andati a buon fine, ma soprattutto, io non sono più tra di voi."

Presa da una risposta istintiva, portò una mano a coprire la bocca, rivelando quasi stupore mentre sentiva le lacrime accumularsi negli occhi minacciando di uscire prepotenti.

"Ho da sempre sperato, più di una volta, di andare via un giorno.
Andare via non da quella città, ma andare via da questa vita.
Ti starai chiedendo il motivo di una decisione tanto drastica, ma, ahimè, il motivo è stato tanto duro e tanto difficile da accettare, tanto duro anche cercare di superarlo, ma, per troppo tempo, troppe cose ti ho nascosto, e per questo motivo, meriti di sapere la verità, anche se pesante: io ho un tumore."

Le lacrime ormai scendevano libere e copiose sul suo volto, mentre nella sua testa un intrico di pensieri iniziava a formarsi.

"Per mia grande sfortuna, una cura ad esso ancora non è stata scoperta, ma è in fase di sperimentazione.
Quando ne sono venuta a conoscenza, ho passato un iniziale fase di depressione, fase da cui ero appena iniziata ad uscire per la perdita di tuo padre, ma quel baratro buio mi aveva risucchiata di nuovo, e sembrava non volermi più lasciar andare.

I primi giorni sono stati i peggiori.
Non uscivo di casa e più di una volta una mia cara amica, nonché vicina di casa, è stata costretta a tirarmi fuori dal letto.
Mangiavo a stento, quasi nulla, ma, per fortuna, lei era lì a prepararmi il pranzo e la cena, e non andava via fino a quando non avevo vuotato il piatto.
Il pomeriggio, per tenermi la testa occupata, mi leggeva un libro preso dalla libreria nella tua camera, mentre io la ascoltavo in silenzio guardando la legna scoppiettare nel camino.
Quando andava via, sentivo l'aria appesantirsi nuovamente di quel dolore, come se tutto il tempo che lei era lì con me scompariva.
Il punto, è che non scompariva.
Non lo ha mai fatto.
Era sempre lì, dietro l'angolo, pronto ad impossessarsi di ogni mio più piccolo attimo di felicità e renderlo buio.
Sapevo che, tutto ciò, non era causato solo dalla scomparsa di tuo padre. Quella ormai, per quanto brutta e terribile fosse, avevo imparato a conviverci.
Ciò che più faceva male, era la tua di assenza.
Sapevo perfettamente, però, che la colpa era del tutto mostra: della nostra diffidenza, della nostra indifferenza nei tuoi confronti.
Davanti agli occhi, continuavo a vedere la scena delle tue urla, ma riesco anche a vedere i nostri, del tutto ignari a ciò che stavi provando.
Tutt'oggi, nonostante il tempo che è passato da quel terribile giorno della tua fuga, non so spiegare con certezza la motivazione di tali sentimenti da parte nostra, o forse, sarà per la vergogna o per altri sentimenti sconosciuti, non voglio scoprirlo.

Quando quel giorno, dopo tante ricerche e altrettante fallite, sono riuscita a trovarti, sul serio pensai che fosse un sogno.
Eri cambiata, sì, e quasi faticai a riconoscerti, ma dentro me provavo così tanta gioia, che dovetti fare appello a tutte le mie forze pur di non stringerti forte e dirti quanto ti avevo cercata.
Ma quel sentimento durò poco.
Più precisamente, fino a quando non incontrai il tuo sguardo, e lì, capii che ti avevo davvero persa.

Quest'oggi, posso affermare con assoluta certezza di potermi ritenere davvero fortunata.
Davvero fortunata perché, nonostante tutto, ricevere il perdono da parte tua, è stata forse, se non con certezza, una delle cose più belle che mi potesse mai capitare.

Le mie mani, in questo preciso momento, stanno tremando, e posso giurare che non è colpa della malattia, ma delle lacrime che stanno scendendo sul mio viso; lacrime di gioia, che quasi mi stupiscono, ma ciò passa quando penso che sono causa della fierezza che provo per te, per la donna forte e indipendente che sei diventata e la mamma attenta e diligente di sue splendide bambine.

Cresci ed educa quest'ultime al rispetto e all'educazione, elementi essenziali del carattere di una persona, ma soprattutto, insegna loro la forza e la bontà d'animo, dai loro tutto l'amore che hai dentro di te, e vedrai, che un giorno, le guarderai da lontano con occhi fieri, come un muto spettatore guarda la sua opera più bella messa in scena sul palco più importante, e stai certa che, in quel momento, vi starò guardando anche io, e in quel momento, starò sorridendo."

A qualche metro di distanza da dove si trovava lei, dei leggeri urli seguiti dalla risata leggera e cristallina di una bambina, o meglio, due bambine, si poté udire nell'aria, mischiata ad un'altra più profonda e maschile, appartenente al padre delle due.

Quel miscuglio di suoni arrivò fino alle sue orecchie, e quasi sembrò risvegliare la sua mente immobile da ormai troppo tempo, più precisamente da quando, due ore prima, avevo letto l'ultima parola di quella lettera e l'aveva accartocciata tra le dita, sentendo un dolore lancinante nel petto e le lacrime che non volevano smettere di rigarle il viso.

Quando quelle figure farsi sempre più nitide davanti ai suoi occhi, decise di reagire, alzandosi in quel modo dall'altalena su cui era stata seduta tutto quel tempo e asciugandosi al contempo le lacrime ormai secche sulle sue guance, mettendo, per quanto possibile, il dolore da parte e sostituirlo con un falso sorriso, per dimostrare che tutto andava bene, anche se, lei sapeva bene che non era così.
Sapeva bene che, con una parte mancante nella sua vita, tutto sarebbe cambiato.

"Era da parecchio che ti stavamo cercando, e finalmente ti abbiamo trovata." Parlò anche a nome delle sue bambine il padre, spostando la mano sul fianco di sua moglie che lo guardò con un sorriso ma con occhi velati di lacrime.

"Sono venuta qui per leggere approfittando della tranquillità di questo posto e non avendo un orologio con me, non ho contato il tempo passato." Rispose la donna, fingendo per una buona parte. "Ma ora che mi avete trovata, che ne dite di tornare dentro e leggere una storia, stavolta tutti insieme?" Propose chinandosi sulla schiena per arrivare alla stessa altezza delle sue figlie, che, in risposta, annuirono vigorosamente e con un grande sorriso stampato in volto.

In quel modo, insieme si avviarono verso casa, e nonostante l'uomo al suo fianco, aveva notato che qualcosa non andava, decise per il momento di non chiedere niente, lasciando in questo modo, la scelta di parlarne in un momento più opportuno, e, mentre si avviavano verso casa, felici e con il sole che, lentamente, tramontava alle loro spalle lasciando spazio alla luna, lei per qualche istante guardò su in cielo, sorridendo, e sussurrò un flebile e appena udibile: "Ciao mamma.", certa che lei aveva udito quella breve frase, e soprattutto, certa che li stava guardando, fiera, ma soprattutto, felice.

                                                    Fine.

You seth my heart on fire || Federico Rossi Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora