Capitolo 18

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Una settimana dopo.

A differenza delle altre mattine, non mi sveglio con le carezze di mio marito, ma bensì, mi sveglio nella mia parte di letto ormai completamente bagnata.

Quasi spaventata, cerco il più silenziosamente possibile di uscire da qui, ma appena i miei piedi toccano il pavimento, e prima che riescano a sostenere il peso del mio corpo, la prima contrazione mi sommerge ed emetto un basso ringhio che non sembra nemmeno appartenermi, scivolando in ginocchio sul pavimento.

Il dolore lacerante mi impedisce quasi di parlare dopo aver letto la preoccupazione sul viso di Federico.

Velocemente, sostituì i pantaloni del pigiama con un paio presi dall'armadio, e con una maglia copre il suo petto scoperto, mentre io, ancora inginocchiata a terra, chiudo gli occhi e cerco in tutti i modi di scacciare il dolore, ma prima che riesca del tutto, torna, più forte e acuto di prima.

Mi sdrai completamente a terra e mi giro su un fianco, sentendo dentro di me come una sorta di morsa che spinge il bambino sempre più in basso.

A malapena sento le sue braccia sul mio corpo fino a quando non mi ritrovo con i piedi sospesi da terra.

Velocemente, si dirige verso la macchina, dove mi poggia sul sedile del passeggero e mi allaccia la cintura di sicurezza, per poi fare la stessa cosa dall'altra parte.

A tutta velocità parte, sfrecciando lungo le vie stranamente deserte di prima mattina, il pedale dell'acceleratore schiacciato al massimo.

"Tranquilla, andrà tutto bene." Mi rassicura poggiando una mano sulla mia gamba. "Siamo quasi arrivati." Nonostante gli sforzi, il tono di voce risulta comunque teso e agitato.

Butto la testa all'indietro sul poggiatesta e chiudo gli occhi, ma una nuova contrazione mi assale e strinsi tra i denti il colletto della mia maglia, nel tentativo di trattenere le urla.

"Presto, abbiamo bisogno di un dottore! Mia moglie sta partorendo!" Esclama Federico a gran voce una volta varcata la soglia dell'ospedale nel tentativo di richiamare l'attenzione di qualcuno.

A grande velocità, quella che sembra una dottoressa o una semplice infermiera, si avvicina a noi, ma a malapena riesco a mettere a fuoco la figura per il troppo dolore.

A sua volta, passa un braccio intorno alla mia vita e il mio sulla sua spalla, imitando la posizione di Federico e trascinandomi con lui in una stanza dalle pareti bianche e un letto con due cuscini e delle lenzuola dello stesso colore.

"Lei deve aspettare qui, non può entrare!" Lo spinge fuori sulla porta d'entrata, chiudendo poi la porta e lasciandolo fuori insieme alle sue suppliche di farlo rimanere vicino a me.

Con l'aiuto della donna al mio fianco, mi avvicino al letto, quando due ostetriche entrano in gran fretta, nel momento in cui la contrazione successiva mi colpisce, facendomi piegare in due, le ginocchia sul pavimento e la testa poggiata sul letto.

Premo la fronte sul morbido materasso del letto e urlo di dolore, scacciando via dalla mia schiena le loro mani, trovandole improbabili invadenti.

Con un rivolo di sudore che mi scende lungo la schiena, iniziò a imprecare a voce bassa e rabbiosa, tremando.

Odio il bambino.

Nessuna donna, né tantomeno una madre dovrebbe provare un sentimento del genere, ma è solo in questo momento che riesco quasi a capire l'odio nei miei confronti da parte di mia madre.

Quando alzo la testa, non è la parete bianca che vedono i miei occhi, ma bensì, il volto di mia madre, la felicità e l'orgoglio ben visibile nei suoi occhi ed in questo momento, come non mai, desidero di essere con lei.

Voglio mia madre.

Ho bisogno di lei.

Ho bisogno di essere stretta tra le sue braccia e le sue mani che mi lavano la schiena e le spalle bagnate di sudore.

Ma lei non c'è, e non c'è mai stata.

Flashback.

Le sue dita si muovono scivolano tra i miei capelli mentre li intreccia tra di loro con un fiocco rosso.

I miei abiti sono coperti da un grembiule che mi arriva appena sopra il ginocchio, decorato con una stampa a piccoli quadretti rosa e bianchi.

Stringo tra le mani un pezzo di tessuto per cercare di calmare la mia ansia, ma questa sembra crescere ogni minuto di più.

Giro lo sguardo verso sinistra, in direzione per lo specchio, e fermo lo sguardo lì per qualche secondo, guardando la figura di mia madre girarmi intorno per poi inginocchiarsi di fronte a me per arrivare alla mia altezza.

"È il tuo primo giorno di scuola, sei pronta?" Mi chiede dolcemente, passando una mano sulla mia guancia.

Prontamente, come una risposta preparata in precedenza, scuoto il capo, stringendo ancor di più la stoffa sottile tra le mie dita e una lacrima mi riga il viso.

Con il pollice l'asciuga, avvolgendo le braccia intorno alla mia vita e avvicinandomi a sé, come una mamma che è disposta a proteggere suo figlio a tutti i costi.

"Andrà tutto bene, vedrai." Sussurra al mio orecchio, ed in questo momento, con queste parole, capisco che davvero andrà tutto bene.

Fine flashback.

Le contrazioni continuano a colpirmi ogni volta con più forza delle precedenti, lasciandomi ogni volta senza fiato.

Lancio un urlo pieno di disperazione e mi rimetto nella posizione di prima, sentendo le mani del l'ostetrica su tutto il mio corpo mentre mi spoglia.

"Ti prego." La supplico. "Tirami fuori questo bambino."

"Lo stai facendo tu." Mi dice. "Solo tu puoi tirarlo fuori."

La stanza bianca sembra quasi prendere fuoco, i miei polmoni privi d'aria e ogni parte del mio corpo che brucia contemporaneamente.

Le sue mani mi accarezzano la schiena, ma ciò di cui ho bisogno in questo momento è sentire lui vicino.

Con tutto il fiato che ho in corpo, grido il suo nome, ma quando sto per arrendermi all'idea di averlo vicino, trovo i suoi occhi fissi nei miei e il suo viso a pochi centimetri di distanza dal mio.

In questo momento, con lui qui, esattamente di fronte a me, capisco che non posso voltare le spalle e andare via, come due anni fa, ma l'unico modo per uscire è attraverso il dolore.

Alla fine, il mio corpo si arrende.

Smetto di lottare e sento il bambino scendere lentamente e in un modo lacerante nel canale del parto dritto nelle braccia accoglienti dell'ostetrica.

"Ce l'hai fatta!" Esclama, la sua fronte poggiata sulla mia e i suoi occhi fissi nei mie. "Ce l'hai fatta." La sua voce si affievolisce leggermente.

Continuo a guardarlo, le sue parole che girano vorticosamente nella mia mente e a malapena sento la voce della donna che annuncia: "È una femmina!"





Sul mio profilo ho pubblicato il primo capitolo della mia prima storia Fenji, dateci un'occhiata, mi farebbe molto piacere, si chiama "Before You go" 😘

You seth my heart on fire || Federico Rossi Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora