I. Racket City

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Il rimbombo di uno sparo. La scia fumante della canna di una pistola. Il rumore di un corpo che rovinò sul marciapiede.
Il sangue fuoriuscì dalla ferita fresca, all'altezza del petto, formando un lago rosso cremisi in continua espansione. I vestiti venuti, a contatto con il terreno umido, si bagnarono di rosso mentre l'ultimo alito di vita si perse in quella strada isolata.
Un'altra vittima innocente era rimasta uccisa perchè si trovò nel posto sbagliato al momento sbagliato. Non era il primo caso di questo genere a Racket City, e non sarebbe stato l'ultimo.
Il criminale corse via tra i vicoli malandati, con ancora il dito appoggiato sul grilletto.
Il respiro, affannato e spezzato dagli suoi stessi ansimi, creava delle piccole nuvole di vapore, una sorta di pista come le briciole di pane nella fiaba di Hansel e Gretel.
L'assassino stava per farla franca. Aveva seminato i poliziotti passando a zig zag tra un vicolo e un altro quando compì un atto sconsiderato: si girò.
Scrutò dietro di sè, spinto dalla preoccupazione laddove aveva commesso l'omicidio. Il cuore gli batteva a mille già dapprima dall'aver sparato a quel passante, nel momento esatto in cui venne colto in fragrante mentre spacciava della droga.
Lui, senza pensarci due volte si liberò, del testimone premendo il grilletto. Subito dopo lo sparo sentì le sirene della polizia e prese a correre all'impazzata.
Il ragazzo, poco più che adolescente, sbirciò di nuovo senza scorgere nessuna sagoma finchè qualcosa non lo colpì in pieno volto.
Stordito cadde di schiena sull'asfalto con la pistola volata a pochi passi vicino a lui, le mani a ricoprire la faccia macchiatasi di sangue a causa della frattura al setto nasale.
Il naso pulsava pervaso dal dolore e lui iniziò a respirare con la bocca aperta, assaggiando il gusto della prima goccia piovana e del proprio sangue.
La testa gli si fece leggera, il corpo non gli rispose più e infine perse i sensi ancora prima di vedere in faccia chi lo aveva steso.
Quello che credeva fosse un pugno, in realtà, non era altro che un calcio ben assestato da un'agente di polizia, diviso dal resto della squadra impegnata nell'inseguimento. Quest' ultimi sbucarono dalla strada in quello stesso momento, rallentando ad ogni passo l'andatura fino ad arrestarsi completamente.
I petti, avvolti dai giubbotti anti protiettile, si abbassavano ritmicamente a causa della folle corsa fatta per raggiungere l'assassino.
<Senza il mio intervento questo stronzo sarebbe riuscito a fuggire.>
La voce, appartenente ad una giovane ragazza, era dura ed arrogante.
Ella tolse il piede pressato sullo sterno del ragazzo, fece schioccare le nocche delle mani e lo lasciò in mano agli agenti, allontanandosi.
Volente o no, il colpevole non poteva comunque rialzarsi da terra stordito com'era.
Egli non percepì altro che delle forti prese, senza capire cosa stesse succedendo. Delle mani callose e forzute lo tirarono su a forza afferrandolo per la felpa e poi, con gesti frettolosi e non curanti, lo spinsero dentro la vettura di una loro auto pronta per portarlo in cella.
Un altro criminale era stato arrestato, ma ancora del sangue era stato versato. Non sono riusciti ad impedire l'omicidio e, seppur con il responsabile dietro le sbarre, sentivano di aver fallito.
Che senso aveva arrestare i criminali se non potevano salvare delle vite? Forse se non lo avessero preso, quel ragazzo avrebbe ucciso degli altri passanti...ma quello che poteva succedere compiendo azioni differenti da quelle prese non era affar loro. Si interessavano solo delle azioni compiute, senza se e senza forse, e queste dicevano loro che erano delle nullità.
Il cielo nuvoloso si fece più scuro, iniziarono a cadere le prime gocce e
la fitta nebbia andò pian piano a diradarsi.
Racket City era così: nuvolosa e sempre avvolta dalla nebbia.
Lo sfondo plumbeo ricordava quelli in bianco e nero dei fumetti conferendogli un tocco di drammaticità.
La ragazza si perse ad osservare le gocce sulle pozzanghere, le quali non riuscivano a riflettere al meglio l'immagine del suo volto in quel momento triste e lontano.
<Scarlett!>
Quello che sembrava essere il capo del team, si diresse verso di lei. Con poche falcate la raggiunse e la sovrastò con la sua statura.
Era un uomo di circa quarant'anni, dalla barba ordinata e i capelli scuri portati all'indietro. Indossava un completo camicia e cravatta con sopra un giubbotto antiproiettile con la scritta POLICE sul centro.
<Quante volte ti ho detto che non puoi partecipare a nessun tipo di missione?!>
<Non c'è di che, zio > ribattè lei con tono scocciato. Smise di prestargli attenzione e la indirizzò sul criminale con la faccia appoggiata al finestrino. Lo osservò scomparire dietro l'angolo avvolto dalla luce delle sirene blu e rosse, quando l'uomo si schiarì rumorosamente la voce.
Lei alzò il sopracciglio, non affatto sorpresa di vedere uno sguardo di disapprovazione mista a ira sul volto dello zio, alias Bill Certaim nonchè capo della centrale di polizia a nord della città.
<Che c'è?> alzò le spalle aggrottando la fronte con nonchalance, facendo finta di non capire da cosa sia causato lo sguardo assassino.
Lo zio si infervorò. <C'è che è sempre la solita storia! Non fai mai quello che ti dico! Ti ho detto mille volte che è pericoloso!> Sbraitò accorciando la distanza fra loro. Il collo bitorzuluto si fece teso, le vene si ingrossarono e la faccia si arrossò. La grande differenza d'altezza inoltre, lo rendeva ancora più maestoso di quanto non fosse già, ma lei non si scompose, abituata com'era alle sue strigliate, inutili fino a quel giorno.
<Per questo mi hai addestrata: per imparare a sopravvivere contando esclusivamente sulle mie forze.>
<Sì!> le puntò un dito contro il suo petto poco formoso, <ma solo in caso di legittima difesa, non quando rubi un fascicolo dalla centrale per azzuffare qualche criminale per puro divertimento!>
Finita l'ennesima strigliata, con tanto di gesti stizziti, l'uomo recuperò un sigaro e un accendino dal giubbotto multi-tasche.
Imprecò quando la fiamma non riuscì ad accendere il grosso sigaro. La fiamma era bassa e fioca, inutile anche per fare luce.
<Non voglio che tu faccia la stessa fine dei tuoi genitori> disse abbassando  drasticamente il tono, segno che stavano per iniziare i sentimentalismi. La nipote roteò gli occhi, seccata. Odiava i sentimentalismi. 
<Lo sai che è inutile rinfacciarmelo. Non cambierò idea> e con queste parole chiuse la conversazione. Rovistò nelle tasche dei pantaloni e, una volta trovato l'accendino, accese il sigaro al posto suo.
L'uomo aspirò le prime boccate, ignorando volutamente il fatto che la nipote avesse con sè un accendino. Non voleva che anche lei prendesse il suo vizio. Essere dipendenti da qualcosa o da qualcuno non la riteneva una bella cosa. Come il padre di Scarlett, suo fratello, così dedito al lavoro. Fece una brutta fine.
L'odore della nicotina lo calmò subito, distogliendolo dai cattivi pensieri.
Quella che prima era una pioggerellina, divenne un acquazzone in piena regola. I due si inzupparono mentre il cielo scuro veniva illuminato dai lampi. 
Scarlett, non curante della pioggia, fece dietro-front diretta a casa.
In sottofondo si sentivano ancora le raccomandazioni dello zio, bellamente ignorate dalla destinatrice.
Lei alzò pigramente una mano e non smise di camminare; le strade si allagarono in poco tempo.   Con le mani fredde infilate nelle tasche, raggiunse il suo appartamento monolocale.
Fin da piccola desiderava essere indipendente e appena compì i diciotto anni andò a vivere da sola. Non che ci fosse molta differenza dal vivere con lo zio Bill, pensò divertita e con un ghigno sulle labbra.
Ricordava che lo zio era solito rientrare sempre tardi, con le muscolose braccia che avvolgevano una pila di scartoffie. Spesso li compilava nel suo ufficio in centrale finendo con l'addormetarsi sulla scrivania, oppure rimaneva a casa a dormire sulla poltrona di sua proprietà, con la televisione accesa su un vecchio film western.
Scarlett sorrise ricordando quei momenti, di come lei lo telefonasse per sapere se rincasava o quando gli avvolgeva una coperta mentre russava.
Poteva sembrare addirittura una nipote amorevole eppure...accidenti quante gliene fece passare! 
Inizialmente le piaceva farlo preoccupare inutilmente e col passare degli anni le ramanzine non cambiarono di una virgola. Si diede il merito per i primi capelli bianchi che andarono a colorare la barba e i capelli corvini dello zio. E non avrebbe cambiato il suo carattere. Mai.
Lo zio lo sapeva, e non faceva altro che credere che la nipote fosse in quella certa adolescenziale: la ribellione. Ma nonostante il suo ventunesimo compleanno, Scarlett non era affatto cambiata. Bill capì che il suo essere ribelle era dovuto alla morte dei genitori e questo non gli piaceva. Se da una parte ringraziava il fatto che fosse riuscita ad andare avanti comunque, crescendo e imparando molto dai fantasmi del passato, dall'altra parte la voleva tenere fuori dai problemi di Racket City. 
Scarlett entrò in casa, si tolse di dosso i vestiti fradici e si fece una doccia calda mentre i riscaldamenti riscaldavano il piccolo appartamento.  Con ancora i capelli gocciolanti e un asciugamano appoggiato sulla nuca, posizionò sul tavolo della cucina-sala da pranzo i coltelli da lancio e le pistole.
Accese la tv, posizionata davanti al divano che dava le spalle al tavolo e iniziò a pulire minuziosamente le armi. Le voci dei giornalisti rimbombavano in tutto l'appartamento con le solite notizie da cronaca nera.
<...una nuova bevanda creata dalla Force Industries->, il nome dell'industria di Racket City attirò l'interesse della ragazza.
Le mani cessarono di muoversi e lo sguardo schizzò dalla pistola alla giornalista in un battito di ciglia. Andò ad alzare il volume, sentendo interessata ogni parola della giornalista. 
<Ed ecco quì la nuova bevanda energetica!> Ci fu un primo piano sulla mano della donna e in particolare sulla lattina, stretta e lunga, di colore nero con sopra il logo dell'industria: una clessidra  verticale composta da due triangoli rossi, in mezzo a quest'ultimi vi era l'aggiunta di un pugno rivolto verso la persona che la guardava, di un forte colore verde fluo. "Altamente energetica e salutare", così la descrissero. "Con tutti ingredienti naturali".
<Stronzate> bofonchiò.
In poche falcate raggiunse la tv e la spense dal bottone centrale.
Lo stato di rilassamento andò a farsi fottere e la rabbia iniziò ad invadere la ragazza, stesa ora sul divano.
La mano iniziò a giocherellare con un coltello da lancio, sporco di polvere, mentre lo puliva distrattamente con uno strofinaccio altrettanto sporco.
<Sarà la nostra rovina> disse parlando al pugnale.
I suoi pensieri finirono tutti in un'unica direzione: la Force Industries. Alla vera, Force Industries.
Quella che si nascondeva egregiamente dietro alle bevande energetiche create per la salute della gente.
Nessuno sapeva che cosa realmente si occupava, tutti tranne lei.
E pensare che lo scoprì per puro caso...prima nemmeno si curava delle industrie o di sentire i telegiornali locali. Prima non era così paranoica o nervosa. Prima non credeva alla fantascienza.

Ephimeral Brain - Chaos Where stories live. Discover now