Capitolo 9

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«Tua madre continua a chiamare» sembrava ormai che quella fosse diventata la frase preferita di tutti.
«Non puoi rimanere là dentro per sempre» Erica continuava a esortarmi a lasciare la mia stanza dalle sei di quella stupida e desolata mattina.
Non avevo chiuso occhio per tutta la notte, mi ero semplicemte rigirata nelle posizioni più strane e contorte per ritrovarmi puntualmente a fissare il soffitto in attesa di addormentarmi o di trovare una soluzione.
«Posso eccome» non demordeva, aveva sempre voglia di risolvere i problemi altrui, probabilmente per rinvigorire il suo ego già smisurato.
«Continuerà finchè non risponderai»
«Buon per lei, avrà tempo da perdere»
«Fammi almeno entrare, sono qui da un'ora e non mi sento più le gambe» guardai l'orologio appeso sopra la scrivania in legno, in verità erà là da più di un'ora, ma non glielo feci notare.

Mi alzai dal letto e girai le chiavi nella serratura della porta. Quando incontrai la sua figura feci un gesto plateale delle mani verso l'interno della stanza «Si accomodi».
«Finalmente ti è tornato un po' di sale in quella zucca»
Lily sbucò da dietro la porta prima che avessi il tempo di richiuderla
«La nostra principessa si è degnata di aprirci» disse ironicamente catapultandosi, senza invito, verso il mio letto.

Erica la seguì sedendosi dalla parte opposta per lasciarmi lo spazio libero tra di loro. Il che voleva dire una sola cosa: ramanzina sul senso della vita.
«Devi rispondere» affermò sicura Erica mentre Lily cominciò a giocare con i miei capelli. Amava approfittare ogni qualvolta potesse. I suoi erano corti e scuri e nonostante le tecniche orientali da lei adottate non ne volevano sapere di crescere più di un centimetro all'anno.

«Io non devo fare proprio un bel niente»
«Ha fatto un viaggio di dieci ore per vederti»
«Le rimborserò il biglietto»
«Sai che non parlo di questo, lei ci tiene a te» quell'ultima affermazione mi fece ribollire il sangue nelle vene, che ne sapeva lei di mia madre e di cosa provasse nei miei confronti?
Non dissi nulla.
«Devi smetterla di comportarti in maniera così infantile, hai quasi vent'anni, parlale e risolvete il problema»

«Non è un problema Erica, è il fatto che io non veda più quella donna come mia madre» un groppo mi si formò in gola, ma non avevo più lacrime per quella questione né tantomeno forza d'animo per rimanere lì a spiegare le mie ragioni a chi non avrebbe mai capito, per pigrizia o per superficialità, ciò che provavo per la donna che mi aveva messo al mondo e che non aveva esitato un secondo prima di spedirmi in un altro emisfero per costruirsi una nuova famiglia dove io non ero inclusa.

«Come faccio a presentarmi davanti a una sconosciuta e far finta che non sia cambiato nulla in questi sette anni?»
«Noi lo facciamo ogni Natale con i parenti di papà» Erica si mise a ridere per le sue stesse parole finchè la sorella non la fulminò con lo sguardo.
«Ti capiamo, ma se la eviti non risolverai nulla»
«No, voi non avete capite proprio nulla»
Per un attimo ci fù il silenzio e Lily cominciò a sistemare i mei capelli in una treccia.
«Un giorno potresti pentirtene, non sai quanto sei fortunata ad avere ancora una madre che ci tiene e si preoccupa per te».
«Già» aggiunse laconica Erica senza alzare lo sguardo.
«Ah, e quindi siccome non la voglio vedere sarei un' ingrata?»

«Esatto, é proprio quello che stai dimostrando di essere» le parole di Erica erano lì davanti a me quasi solide così che io potessi vederle.
«Non sai cosa darei perchè mia madre fosse ancora qua» continuava a guardarmi con quella detestabile faccia da timorata da Dio.
«Risparmiami queste analogie campate per aria, vostra madre aveva un tumore, la mia non mi voleva da viva e vegeta»
Le mani di Lily si bloccarono mentre le dite erano ancora incastrate nei miei capelli.
«Ma chi diavolo ti credi di essere?» Le mani ricominciarono a tessere la treccia con una calma surreale.
«Tua madre avrà pur avuto le sue buone ragioni, qindi smettila di piangerti addosso» non alzai lo sguardo, ne mi mossi, ma un sentimento trasparente e caldo, quasi confortante, di rabbia mi avvolse.

«Chi vi credete voi di essere, eh? Venite qua, fate da giudice e giuria anche se non sapete un bel niente e infine mi chiedete di non sputare sentenze?» nessuna delle due si mosse e io non alzai lo sguardo dal tappeto blu adiacente al letto.
«Non so che farmene della vostra ipocrisia quindi uscite perfavore»
«Noi non...» la sua mano ancora nei mei capelli.
«Non devi spiegare niente» Erica si alzo di scatto dal letto esortando la sorella a seguirla.
Rimasi nella stanza da sola. Le gambe ancora a penzoloni dal bordo del letto un po' troppo grande per una persona sola.

Non piansi, avrei tremendamente voluto, ma non lo feci. Mi preparai come al solito, seguendo la mia mappa quotidiana di movimenti. Passando davanti allo specchio a muro della mia stanza mi soffermai un po' più del solito, le occhiaie si erano presentate inesorabili e il mio viso sembrava paralizzato in un'espressione di rabbia. Non ero mai stata una ragazza da copertina, ma il mio aspetto quel giorno lasciava veramente a desiderare così optai per una delle mie solite gonne dall'altezza discutibile sperando che le mie gambe distogliessero l'attenzione dal collo in sù.

Le lezioni passarano come sempre tranquillamente e all'uscita non  sentivo più accanto a me lo sconforto che mi aveva fatto compagnia dalla sera precedente.
Fuori il sole era accecante e il cielo di un limpido assoluto.
Decisi di allungare il mio percorso per tornare a casa e a metà strada mi fermai in un parco per sedermi e godermi il calore sulla pelle.

Mi sentivo stranamente serena.
Tutti quelli che conoscevo pensavano all'università come a una scocciatura, un groviglio di esami e ansia in cui eri obbligato a fare tappa se volevi gareggiare nell'ampio e crudele mondo lavorativo. Per me non è mai stato così, per me la scuola in generale è sempre stata un punto di riferimento. Mentirei se dicessi che ero una cervellona o robe simili, non potevo fare a meno della mia natura ingnava neanche nel contesto scolastico. Studiavo, ma non per raggiungere risultati brillanti o cavolate simili, lo facevo perchè  era il miglior modo per non attirare l'attenzione dei professori né quello dei miei compagni che, a prescindere da questa mia prevenzione, non mi avrebbero comunque mai notata. Anche quando decisi di buttarmi nel campo della biochimica non lo feci perchè sentivo una sorta di vocazione verso questa materia, ma semplicemente perchè non ho mai avuto particolare predisposizione verso niente.

Wes è sempre stato il contrario di me, per lui la chimica in ogni sua diramazione è una passione che ha coltivato sempre senza troppe pretese, e credo proprio che fosse ques'ultimo dettaglio ad aver fatto si che gli risultasse sempre di facile comprensione. Quella facoltà infondo era il suo sogno e non il mio e non potevo biasimare nessuno se in quel momento mi trovavo costretta a percorrere da sola la strada che aveva scelto qualcun'altro.

Anche fuori dall'università non avevo grandi esperienze né a livello topografico né a livello sociale. La mia rotta era sempre una retta invisibile che collegava le aule all'appartamento che condividevo con le gemelle.
Seduta su quella panchina di legno rovente nel parco vicino a casa presi la decisione di cambiare la mia essenza.

Non più sentimenti mal celati, lacrime, e rabbia verso il mio passato; sarei cambiata. Lo avrei fatto semplicemente perchè non potevo continuare a struggermi per una vita che non avevo vissuto, per un paese di cui malapena ricordavo i contorni. Come per tutte le decisioni campate su un castello di euforia sapevo che non sarebbe durata, ma volevo almeno provare.

Il primo passo era ovviamente ingoiare tutti i sentimenti e gli eventi che mi avevano fatto soffrire fino a nasconderli nel buio delle mie viscere. Sarebbe rimasti lì a pungere il tessuto per ricordarmi il motivo della mia decisione, ma non abbastanza forte da farmi male. Sorrisi soddisfatta del mio ragionamento, ignara del fatto che quella fosse la scelta piú stupida che avessi potuto fare.

Legami a idrogenoWhere stories live. Discover now