Capitolo 5

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Avranno dormito insieme anche    questa notte?

Questa fu la prima domanda che mi balenò in testa la mattina successiva.
Lo amavo così tanto che non volevo rinunciare a quel sentimento relegandolo al passato, ma non potevo di certo passare sopra la mia dignità e perdonarlo.

Perchè doveva essere tutto così dannatamente complicato?
Mi alzai dallo scomodo divano in cui avevo dormito quella notte per andare alla ricerca dei miei vestiti e dileguarmi da quel posto. Li trovai stesi e fortunatamente asciutti vicino al termosifone. Chiamai con il telefono fisso Erica per sapere se era già tornata a casa e quando me lo confermò chiusi la porta con la chiave gìa in inserita nella serratura per poi nasconderla sotto lo zerbino.

Dopo venti minuti buoni riuscii a trovare una linea dell'autobus che passasse di fronte vicino a casa, peccato che dovetti aspettare altri venti minuti perchè prima delle sei non se ne parlava nemmeno di trasporti pubblici.
Presi fuori il tomo di chimica molecolare che avevo ancora nello zaino e mi misi a sfogliarlo, se solo pensavo alla sera prima quando avevo rischiato di prendermi il malanno del secolo per quella stupida materia mi veniva da buttarlo nella pattumiera più vicina.

L'autobus arrivò in anticipo di qualche minuto e nonostante l'orario scandaloso era già pieno.
Dovetti rimanere in piedi per tutto il viaggio vicino a un moccioso con uno zaino che era il doppio della sua gracile figura e che per un motivo a me ignoto mi guardava con aria torva.
«Sei nuda» mi disse all'improvisso toccandomi con un l'indice la parte superiore della coscia dove la gonna ancora non arrivava. Il signore che gli teneva l'altra mano si girò di scatto «Fabian!» gli urlo strattonandolo per il braccio per poi guardarmi dall'alto in basso «Lascia in pace la signorina».

Abbassai istintivamente lo sguardo sulle mie gambe, forse non sarà stato un abbigliamento da suora, ma di certo non ero nuda. Nel dubbio però cercai di abbassarla di qualche centimetro.
Arrivai a casa prima delle sei e mezza ed ebbi tutto il tempo di prepararmi per andare a lezione in orario.

Mi poggiai come al solito contro il palo della fermata. Guardavo l'edificio davanti a me dove uno stupido ragazzino aveva imbrattato il muro frontale con una bomboletta spray. "Ho bruciato il libro di fisica il giorno che mi hai insegnato a volare" questo aveva scritto quel teppistello, e io pensai che oltre al libro avesse bruciato sicuramente anche qualche neurone. Rabbrividivo alla sola idea che un giorno qualcuno potesse dedicarmi una scemenza simile.

Per fortuna che a Cardiff erano veramente poche quel genere di bravate. Imbrattare i muri delle case con stupidaggini era per me un reato che si meritava una severa punizione. Ero ipocrita e lo sapevo, adoravo quella forma di espressione prima di lasciare Cape Town.

Però ripensandoci quello era diverso, perchè lí i ragazzini si impegnavano veramente a rendere uniche le loro opere. Creavano disegni complicati e colorati che richiedavano parecchie ore di lavoro e non scrivevano di certo fesserie come quella. Dio solo sapeva quanto mi mancava la mia città.

Ormai erano passati sette anni da quando vivevo in Galles. Sette anni da quando non vedevo mia madre. 

Aveva deciso che la sua terra era piú importante di me e mio padre, che come una calamità è stato inesorabilmente attratto indietro dalla sua patria. 

L'arancione sgargiante dell'autobus mi fece destare dalla bolla di ricordi che mi si era formata intorno, così mi affrettai a salire prima che mi lasciasse a piedi.
Appenai toccai il sedile poggiai la testa e i ricordi tornarono a insuarsi davanti ai miei occhi

L'immagine di Wes seduto nel banco in prima fila mentre scarabocchia sulla superficie liscia si fece spazio davanti prima di tutte.
Quella era la prima volta che lo vedevo perchè si era trasferito da poco in quella scuola e io ero stata ammalata per tutta la sua prima settimana nella mia classe.
Mentre esponevo la ricerca di scienze non riuscivo a staccare lo sguardo da lui. Era il ragazzo più bello che avessi visto nei miei miseri sedici anni di vita.

Le suo iridi celesti non idugiarono su di me neanche una volta nonostante stessi parlando ad alta voce davanti a tutta la classe.
Per le restanti due ore continuai a fissare i suoi capelli chiari e le sue spalle. Ero seduta nel banco dietro al suo perció non temevo che potesse notare il mio interessamento.

«Da dove vieni?» mi chiese alla fine delle lezioni mentre rimettevo tutti i libri nello zaino. Il mio cuore saltó un battito non solo perché mi aveva rivolto la parola, ma anche perchè abitavo a Swansea come tutti i miei compagni quindi non c'era un reale bisogno di chiedermelo.
Gli dissi quello che pensavo volesse sentire.
«No, da dove vieni veramente, si sente che non sei di queste parti» la mia sorpresa era palese, nessuno aveva mai notato qualcosa nel mio modi di parlare perchè lo mascheravo con un accento che avevo in tutto e per tutto copiato da mio padre e che ormai era parte di me.
"Cape Town" dissi.
Ed era la prima volta che lo dicevo a qualcuno, l'avevo tenuto nascosto anche a me stessa per quattro anni.
Ero stata una stupida ad aver pensato che non avesse nemmeno notato la mia presenza. Lui era stato l'unico che probabilmente aveva prestato attenzione a cosa dicevo e sopprattutto a come lo dicevo.
Si offrì di accompagnarmi a casa e mi raccontò che anche lui si era trasferito lì da Melbourne, ma quella non era una novità perchè ce lo disse la signora Brady prima che arrivasse nella nostra classe.

Mi disse che gli ero simpatica perchè ero l'unica che poteva capire come si sentisse in quel momento.
Io invece mi sentivo solo in colpa perchè non era vero, io mi ero ripromessa di non pensare mai più a Cape Town e farmene una ragione, mentre lui mi confessò che appena finiti gli studi sarebbe tornato subito in Australia.
Eravamo due anime sperdute in un paese che non ci apparteneva e che io cercavo disperatamente di fare mio.

«Ce l'hai il ragazzo?» mi chiese all'improvviso come se fosse la cosa più naturale del mondo anche se ci conoscevamo da meno di un'ora. No, non ce l'avevo un ragazzo e glielo dissi. Mi vergognavo un po' perché le ragazze della mia etá di solito erano abituate a quel genere di discorsi, mentre a me avevano cominciato a tremare le gambe.
Ma lui mi guardò e mi fece un sorriso di quelli che non dimenticherò mai.
«Esci con me sabato?» mi chiese tornando a guardare la strada.
Quelli erano gli anni in cui nutrivo costantemente l'angoscia di aver fatto scivolare tutto dalle mie mani e lui aveva deciso di condividere l'unica cosa che aveva, ovvero la sua solitudine, con me.
Come potevo tirarmi indietro?

«Si» questa fu la mia risposta, niente di più niente di meno e per il resto del tragitto regnò il silenzio.
Mi salutò all'entrata di casa e poco dopo sparì nelle strette vie del quartiere. Mi ricordo che entrai in casa e dopo aver chiuso la porta mi appoggiai al legno con la schiena. Il mio respiro si fece pesante e sentii un forte dolore al petto.

É la stessa sensazione che provai a distanza di tre anni dopo essere scesa dall'autobus ed aver percorso la via che porta all'università quando lo vidi davanti al laboratorio di biologia che parlava allegramente con Kate. Dovevo aspettarmelo che le scuse non sarebbero durate per sempre e che prima o poi sarebbe andato avanti. Non mi aspettavo che sarebbe successo così presto.

Glielo avevo detto io di farlo e ora non potevo certo tornare sui miei passi.
Si girò verso di me appena mi vide arrivare dal fondo del corridoio e Kate fece lo stesso.
Era così snervante che non si sentissero liberi di fare ciò che volevano perchè avevano paura di ferirmi.
Non c'era più niente da ferire.
Tutto ciò che avevo amato se lo erano sempre preso gli altri. Dovevo solo tirare avanti cercando di dimostrare a me stessa che potevo ricominciare a vivere nell'indifferenza, proprio come facevo prima che arrivasse con la sua invadente presenza.

Nel bel mezzo della lezione ci interruppe il professor Cunningham. Mi chiamó fuori dall'aula per parlarmi e io uscì sotto lo sguardo accusatorio di Wes.
«Hai lasciato questo nella doccia» mi fece notare tirando fuori dalla tasca della giacca un anello d'argento» lo presi e lo ringraziai di essersi preso il disturbo di restituimerlo, ma non li chiesi nulla riguardo a dove era stato la notte precedente perchè non erano di certo affari miei.

Rientrai in classe giusto un attimo prima che finisse la lezione cosí mi affrettai a sistemare gli appunti dentro allo zaino e mi diressi di nuovo verso la porta dove però Wes si era giá posizionato per bloccarmi la strada.
«Dobbiamo parlare»

Legami a idrogenoWhere stories live. Discover now