(R)Capitolo 6: Quando la strega sdentata si pose sulla nostra via

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Sparviero

Dopo che Delia se ne fu andata, sia io che Arty provammo per la prima volta la sensazione di essere completamente abbandonati a noi stessi.

Fu come se ci avessero scaricato un'incudine sulle spalle, e quel peso fu talmente inaspettato, talmente doloroso, che restammo a fissare inebetiti il terreno per un bel po', prima di riuscire a pensare di nuovo.

- D'accordo - disse il bambino, deglutendo a fatica.

Mi rivolse un sorriso tremulo, cercando di apparire coraggioso, e si mise le mani sui fianchi, pensando al da farsi.

- Presto sarà sera. Dovremmo occuparci di preparare un fuoco per la notte, se non vogliamo stare al buio - continuò, pensieroso. - Vieni, andiamo. Prendiamo della legna e delle rocce. L'ho già visto fare a Bonnie molte volte, non sarà difficile.

Le ultime parole famose.

Non sapendo cos'altro fare e non volendo restare solo, gli andai dietro, mentre lui raccoglieva ramoscelli ed erba secca. Accumulammo il materiale in una pira, che delimitammo con delle pietre prese dal torrente. Io ne portavo una alla volta, trattenendola fra i denti, mentre Arty ne reggeva tre o quattro fra le sue braccia striminzite. Creammo un solido cerchio, in modo che il fuoco non si diffondesse. Quando finimmo, era già l'imbrunire.

- Allora? - mi incitò Arty, sorridente.

Allora cosa?, avrei voluto dire.

Mi limitai a un verso interrogativo, che gli fece aggrottare le sopracciglia.

- Accendi il fuoco, no? - disse, dandomi una spintarella con un piede.

Io scossi la testa. Ad Arty tremò il labbro inferiore.

- Non sai accendere il fuoco?

No.

Per un attimo pensai che si sarebbe messo a gridare in preda al panico, ma poi espirò lentamente e si mise seduto a gambe incrociate, tenendo un ramoscello fermo coi piedi nudi, neri per lo sporco. Con le mani, cominciò a sfregarne uno contro quello più grande. Io lo osservavo dall'altra parte della pira, incuriosito. Arty sfregò e sfregò, fino a farsi venire le vesciche sui palmi delle mani, ma fu inutile.

Ormai era buio, e si fece prendere del tutto dal panico.

Raccolse tutte le cose alla rinfusa e andò a rifugiarsi in un tronco cavo, terrorizzato. Io lo seguii, spaventato a mia volta. Vedevo bene nell'oscurità, ma avevo paura delle bestie feroci. Avrebbero potuto facilmente uccidermi. Mi rannicchiai al suo fianco, e mangiammo nervosamente alcune strisce di carne secca dalla dispensa fornitaci da Delia.

- Ho paura - rantolò Arty, dopo che il verso di una civetta ci ebbe fatto sobbalzare entrambi.

Io ero troppo orgoglioso per ammettere di essere spaventato e non mi mossi.  Arty, gli occhi sgranati come due piattini, si guardava intorno, emettendo dei fievoli gemiti. Nella mano destra stringeva un bastoncino, come se ciò avesse potuto aiutarlo a difendersi.

- Sai, non ho mai dormito da solo, prima d'ora - sussurrò, pianissimo. - Non mi piace. Non mi piace per niente. Se solo ci fosse Bonnie. O Delia. Mi accontenterei anche di Finn.

Le ore passarono e, un po' alla volta, la stanchezza ci sopraffece. Ad Arty si chiudevano le palpebre, e la testa gli ciondolava sul petto. Ogni volta in cui il suo mento sfiorava la maglia, si svegliava di soprassalto, farfugliando cose incomprensibili, mentre puntava il bastoncino contro una minaccia invisibile.

Alla fine mi arresi all'umiliazione e andai a cercare conforto. Mi accoccolai sul suo addome, appoggiando la testa sulle sue ginocchia. Arty mi fu grato per quel gesto e mi abbracciò - come avevo temuto -, ma non fu poi così spiacevole.

Il Nido del DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora