1.

5.2K 203 8
                                    

"Milkovich, hai una telefonata." annunciò la guardia guardando il ragazzo disteso sul lettino "Oggi è venerdì, Svetlana chiama il sabato. Chi cazzo è?"
rispose Mickey Milkovich con la sua solita aria spavalda, aveva passato gli ultimi tre anni in quella prigione e aveva capito perfettamente che il sabato avrebbe chiamato Svetlana per qualche merdoso lavoro, giovedì lo andava a trovare per affidargli qualche altro merdoso lavoro, lunedì era il turno di Mandy che arrivava per parlargli del suo merdoso lavoro (anche se ancora non aveva ben capito in cosa consistesse) e il mercoledì c'erano i suoi fratelli a raccontargli stronzate. "Rispondi o no?" continuò la guardia impaziente lo sguardo di chi avrebbe preferito trovarsi in qualsiasi altro posto che non fosse lì. "Ma che cazzo" Mickey si alzò e si diresse verso il telefono a muro, sporco di anni e anni di telefonate di cortesia, aspettandosi una qualche sfuriata da parte della moglie perché "Tu no fai lavoro bene" o altre cazzate varie.
Prese la cornetta del telefono e rispose con un borbottio annoiato.
"Mickey?"
La voce dall'altro capo del telefono era bassa e sofferente, ma il ragazzo la riconobbe e, di certo, non si aspettava di sentirla.
"Mick, ci sei?" incalzò Ian Gallagher, Mickey perse un battito.
"Ci sono." disse abbassando lo sguardo, cazzo se faceva male.
"È successo qualcosa a Svetlana o al bambino?" chiese poi, mentre ancora cercava di ritrovare il respiro.
"No no, stanno bene. Io volevo solo sentire come stavi..." un altro battito se n'era andato allegramente a fanculo.
"Bene, sto bene." rispose freddo, non sapeva come comportarsi e sapeva che quella cazzata non se la sarebbe bevuta, Ian lo conosceva bene. "Mi dispiace, non avrei dovuto chiamare. Credevo che, dopo tre anni, le cose fossero cambiate" disse tristemente senza però riagganciare "Dopo tre anni passati qui dentro senza sentirti o vederti? Senza potermi cambiare per non vedere il tuo nome tatuato su di me? Cazzo, Gallagher, davvero credevi che sarebbe cambiato qualcosa? Che c'è, ti sei rincoglionito senza di me?" una leggera risata arrivò dall'altro capo, solo Dio sa quanto avrebbe voluto vedere il volto del ragazzo in quel momento.
"Mi manchi" rispose il rosso e Mickey sapeva che quelle parole gli erano costate un grande sforzo. "Anche tu" rispose poi fissando il muro sudicio. "Cazzo mi fai sembrare una checca così. Vaffanculo, stronzo." scherzò e un piccolo sorriso si formò sul suo volto cicatrizzato e stanco "Ma tu sei una checca" rispose l'altro ridacchiando. Mickey in quel momento avrebbe voluto solo stringerlo a se.
"Sai ho...ho un ragazzo. si chiama Caleb, è un pompiere. io faccio il paramedico e.." si interruppe, Mickey lo sentì sospirare, non aveva voglia ne forza per rispondere. "Volevo venirti a trovare, ma non sapevo come fare, però ti ho pensato ogni giorno. Mi.. mi dispiace" balbettò il rosso ricevendo come risposta il silenzio "Mick, ieri sono passato davanti casa tua, senza motivo. Volevo solo stare lì. Mi sono seduto sui gradini e ci sono rimasto per un'ora." ridacchiò "Quando mi sono alzato ho visto un pacchetto di sigarette a terra, le ho raccolte e stavo per salire a portartele, ma poi ho realizzato che tu non c'eri. Negli ultimi anni mi è capitato spesso, faccio qualcosa e non vedo l'ora di raccontarti tutto, ma tu non ci sei. Tu non sei qui, io ho un meraviglioso lavoro e un bravo ragazzo, ma tu non sei qui e mi sembra tutto sbagliato. È tutto sbagliato." Il ragazzo smise di parlare. Mickey lo immaginava appoggiato a una parete della sua bellissima nuova casa, di nascosto dal suo bellissimo nuovo ragazzo, con il telefono appoggiato all'orecchio, gli occhi bassi e le labbra serrate, in attesa di una risposta che lui non sapeva dargli. Tre anni d'inferno passati in quel carcere solo per scoprire che il mondo fuori era andato avanti senza di lui, che Ian era andato avanti senza di lui. Si sentì improvvisamente svuotato, che senso aveva continuare a sperare?
"Buona vita, Ian." sussurrò, prima di riagganciare. Sorpassò le guardie e si infilò nella sua cella solitaria, si stese sulla branda e si coprì il volto con le mani.

Aspetterò | GallavichWhere stories live. Discover now