11.

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Cameron non attese un altro secondo. Si fiondò al pian terreno, si diresse verso il parcheggio delle auto del distretto ed entrò nella Chrysler nera d'ordinanza.

Premendo il piede sull'acceleratore, si immerse nel traffico di Boston, senza prestare attenzione al cellulare che continuava a squillare poggiato sul sedile del passeggero. Vince, infatti, lo chiamava senza sosta, ovviamente confuso dalla reazione del partner.

«Cazzo! Cazzo!» continuava a dire Cameron, battendo i pugni sul volante e accendendo la sirena, una volta entrato nella superstrada che l'avrebbe portato sul luogo del delitto.

Non si era mai sentito così. Un peso opprimente sul petto, lo faceva sentire come se avesse una lancia conficcata nel cuore. Sudava, tremava, aveva gli occhi lucidi. Cosa diavolo gli era successo? Cosa gli stava facendo Tobias?

Tobias.

Non riusciva neanche a pensarci. Rischiava di vomitare da un momento all'altro.

Il cellulare riprese a squillare, sbuffando, strinse i pugni sul volante, sbiancando le nocche.

Finalmente, trovò lo svincolo stradale che l'avrebbe portato a Lawsbridge. Dove tutto era iniziato e dove tutto rischiava di finire. In lontananza, all'angolo con la trentaquattresima, intravide le pattuglie della polizia e il classico nastro giallo che circondava la zona. Fermò l'auto senza occuparsi di chiuderla, s'incamminò veloce, nonostante Jane, già sul luogo del delitto, lo avesse chiamato un paio di volte, stranita nel vederlo solo, senza Vince.

E fu in quel momento che si sentì morire.

Dei corti capelli scuri si intravedevano attraverso il telo bianco steso sul corpo. Non si vedeva altro ma, quel colore, la morbidezza che quei capelli sembravano avere, erano elementi che gli fecero perdere un battito.

Non sentiva più il terreno sotto i piedi, non ascoltava più le voci dei colleghi che parlavano tra loro né il richiamo insistente del suo capo. Si fece avanti, dando una spallata al medico legale che, in quel momento, stava compilando la scheda d'ordinanza, con i primi resoconti sul decesso. Si buttò letteralmente a terra e, con mani tremanti, scostò il telo candido che avrebbe potuto mostrargli qualcosa che, inevitabilmente, l'avrebbe cambiato.

Tobias era vivo.

Quel cadavere non gli apparteneva. I capelli erano simili, sì. Tagliati corti, scompigliati come i suoi. Ma il viso non era il suo. Non aveva i tratti delicati, non era leggermente coperto da efelidi. Le labbra non erano carnose e non aveva alcun piercing. Gli occhi, ancora aperti, mostravano delle iridi spente che prima, in vita, aveva un colore che dava sul verde, o forse sul grigio.

Non era Tobias. Tobias era vivo. Forse in pericolo, forse no, ma vivo.

Cameron si rimise in piedi come se quel corpo scottasse. Non gli apparteneva, non era il suo ragazzo.

«Brooksfield che diavolo stai facendo?!» la voce di Jane attirò la sua attenzione. Con ancora il respiro affannato per la corsa e per la paura. Le mani tremanti e il volto bianco, puntò gli occhi chiari in quelli del suo capo che continuava a muovere la testa con disappunto.

«Cameron? Dove diavolo è Vince?» continuava la donna. E nonostante Cameron potesse sentirla benissimo, il suo unico pensiero era ancora una volta Tobias.

«Ci vediamo al distretto.» mormorò, girando i tacchi e ripercorrendo la strada a ritroso, verso l'auto.

Doveva trovare Tobias, doveva toccarlo, sentirlo, respirarlo, rendersi conto che era stato solo un incubo e che quel ragazzo, il suo ragazzo, era vivo.

Doveva trovare una soluzione, doveva salvarlo.

Non avrebbe mai più provato una sensazione simile.

I DID IT, FOR LOVE.Où les histoires vivent. Découvrez maintenant