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Come previsto, trovo il professor Dofel nell'aula di scienze dedito a correggere qualche compito assegnato prima delle vacanze. Deve amare davvero tanto il suo lavoro per essere ancora qui durante la pausa natalizia.
Non ha una famiglia da cui tornare? Dei figli, una moglie? Dallo sguardo che mi lancia non appena mi vede, capisco che deve pensare la stessa cosa di me.

«Ryle, cosa ci fa ancora qui? Non dovrebbe essere partita?» mi chiede.

«Parto domani» rispondo.

Se da un lato non sono pronta a ritornare a casa e rivedere mio padre – anche se, sinceramente, non penso lo sarò mai e nessuno mi sentirà mai entusiasta di incontrarlo – dall'altro non vedo l'ora di riabbracciare mia sorella, che non vedo da quando i miei l'hanno riportata a Forks dopo la morte di Joy. Continua a mandarmi messaggi in cui fa il conto alla rovescia delle ore mancanti alla mia partenza, contagiandomi con il suo spontaneo entusiasmo.

«Sono qui per questo» Appoggio il petalo di rosa accanto alla pila di fogli che tiene davanti a sé. Lo prende in mano e lo guarda confuso, ma soprattutto i suoi occhi non si smuovono dalle piccole macchie di sangue incrostate. Il modo in cui lo maneggia mi fa paura, se lo rompesse la mia unica possibilità di trovare il mazzo di fiori – e quindi di sapere il nome dell'acquirente della corda – svanirebbe.

«Un petalo di rosa?» chiede.

«Non uno qualunque» spiego, prendendo posto su una sedia. «Ma uno delle rose del mazzo di Dana.»

Mi guarda sbalordito. «Come ha fatto a trovarlo? Signorina Ryle, in qualità di suo insegnante...»

«Non ho bisogno della sua tutela o delle sue preoccupazioni» lo interrompo, pentendomi subito. È comunque un mio insegnante. «Sono qui per la macchina del tempo. Non potrebbe... aggiornarla o modificarla? Fare in modo di usarla per capire dove si trova l'intero mazzo?»

Sospira. «Avevo inventato un oggetto simile, era una macchina minuscola che si collegava all'originale, quella che ho testato con lei. Un giorno, non molto tempo fa a essere sincero, è scomparso. Se ci inserisci dentro un oggetto, per esempio una zampa di un peluche, sarà in grado di portarti dall'intero pupazzo.»

«L'ultima volta che abbiamo testato la sua macchina non è andata bene... È riuscito ad aggiustarla?»

«Sì, non ci saranno più problemi» risponde sorridente, poi torna serio. «Comunque, senza quel pezzo, non si può far nulla.»

«E se lo trovassi? Com'è fatto?» Non sarà andato lontano, in fondo.
Chi mai avrebbe interesse a rubare un oggetto, agli occhi di uno studente qualsiasi, inutile? Potrebbe essere in qualche scatolone di qualche ripostiglio del professore. Magari si è scordato di averlo nascosto.
Non voglio rinunciare a questa opportunità, non posso. Se trovassi quello stupidissimo aggeggio otterrei subito la verità, quindi perché mollare?

«Una scatolina metallica, con un buco sul lato» Aggrotta la fronte. «Mi dispiace spegnere il suo entusiasmo, signorina Ryle, ma ormai quel pezzo sarà andato perduto, se non distrutto.»

Quel giorno, al lago, quando Dylan mi ha accompagnata e sono stata aggredita da quello strano mostro, ho trovato una scatolina avvolta da un sacchetto di plastica sul fondale: e se fosse proprio quella che sto cercando?
Senza dar spiegazioni corro nella mia stanza e cerco sotto il letto, finché non trovo il sacchetto. Quando lo apro, però, l'oggetto è distrutto.

«Maledizione!» sbotto.

La scatola si è aperta a metà e dalla spaccatura fuoriescono cavi sporchi di polvere. Si deve essere sicuramente rotta quando l'ho lanciata sotto il letto, sono stata una stupida!

Ma perché ce l'aveva Joy e perché l'ha gettata nel lago prima di morire? Quel giorno, quando ho usato la macchina del professore per seguirla fino all'Ice Lake, l'ho vista estrarre dalla tasca questo dannato sacchetto di plastica.
Che sia stata lei a rubare la macchina al professor Dofel? Se sì, perché l'ha fatto? Che sapesse degli esperimenti del professore? Che abbia voluto prenderlo lei prima che finisse nelle mani di qualcun altro? O forse, toglierlo dalle mani del professore...

Torno da lui e gli metto davanti il pezzo distrutto. «Trovato!» esclamo.

Mi guarda sbalordito, confuso e accigliato. «Come... Dove l'hai trovato?»

«Non è importante. Può aggiustarlo?»

«Certo, ma ho bisogno di tempo» Si passa l'oggetto da una mano all'altra. «Cercherò di impiegare il minor tempo possibile. A quanto pare, è una questione di vita o di morte per te.»

Ridacchio a quella che per lui suona come una battuta spassosissima, ma sento lo stomaco stringersi: è questione di vita o di morte.
Se non riuscirò a risolvere il caso in tempo, ci saranno altre vittime e l'assassino verrà a prendere anche me.

Quando rientro in camera sono assorta nei miei pensieri: ho così tante domande che vorrei fare a Joy! Perché era all'Ice Lake quel giorno? Perché aveva lei la scatolina? Perché sapeva di star per morire e non ha fatto nulla per evitarlo? Perché non è andata subito dalla polizia? Perché, se sapeva che si trattava di Sam, non ha fatto nulla per allontanarmi da lui? Forse perché sapeva fosse innocente?

Dei singhiozzi attirano la mia attenzione e solo ora mi accorgo che Bree è rannicchiata in un angolino della nostra stanza. Tiene le gambe strette contro il petto e dondola avanti e indietro tenendosi la testa fra le mani.

«Cosa succede?» chiedo, correndo verso di lei. «Cosa ci fai qui? Non dovevi essere a casa?»

«Li hanno presi» dice fra i singhiozzi. «I miei genitori.»

«In che senso li hanno presi?»

Si aggrappa ai miei polsi e li stringe talmente forte da farmi male. «Ero uscita a fare delle commissioni e li ho chiamati circa un'ora fa per chiedere se avessero bisogno di qualcosa e ha risposto un uomo. Non l'avevo mai sentito prima, ma ha detto che è stato lui a rapirli. Mi ha detto di tornare alla Haldell altrimenti li avrebbe uccisi seduta stante, ha detto che mi verrà a prendere stanotte...» Molla la presa e si riprende la testa fra le mani piangendo.

«Calmati» sussurro.

La suoneria del suo cellulare ci fa sobbalzare entrambe. Lo guardiamo per qualche secondo, poi lei gattona per leggere il numero sul display. «È il numero di casa mia. E se fosse di nuovo lui?» mormora.

Allungo una mano. «Rispondo io.»

Annuisce e mi porge il cellulare. Quando avvicino il telefono all'orecchio, la voce morbida di una donna si fa subito sentire. «Tesoro, sono mamma. Scusa se non ti ho risposto prima, ma stavo usando il frullatore e non ho sentito il cellulare. Cosa volevi dirmi?» chiede.

«Non... Non sono Bree, ma la sua compagna di stanza» rispondo.

«Aimee? Bree è tornata lì? Ha bisogno di un passaggio?»

«No, lei...» balbetto. «Sì, insomma, è tornata qui per aiutarmi a fare le valigie. Ho avuto un contrattempo ed è stata così gentile da venirmi ad aiutare. Però sì, avrebbe bisogno di un passaggio, ora è in bagno.»

«Lo farò, va bene. Le mando un messaggio appena parto.»

Stacco la telefonata e porgo il cellulare a Bree, che mi guarda confusa. «Allora?» domanda.

«Era tua mamma. Ha detto che non è riuscita a risponderti» Mi appoggio alla scrivania. «Sei sicura di ciò che hai sentito prima?»

«Sì, ovvio che sì!» esclama.

Guardo la mia migliore amica, che a momenti potrebbe impazzire. Perché farle uno scherzo del genere, e chi potrebbe essere stato? Prendersela con lei in questo modo... Che sia opera di Fitz? Non mi viene in mente nessun'altro che la prenderebbe di mira così.

«Prova ad andare dalla polizia. Sapranno rintracciare la chiamata» suggerisco.

«Hai ragione, grazie.» Annuisce.

«Bree... Hai detto che ti hanno detto che verranno a prenderti?»

«Sì, orribile... Che scherzo idiota» Ridacchia.

Ricambio la risatina, ma il sorriso mi si spegne subito.

Ho un pessimo presentimento.

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