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Le pareti bianche e le luci abbaglianti degli ospedali mi angosciano, mi fanno sentire sul punto di soffocare e in trappola. Sto seduta su una delle sedie della sala d'attesa torturandomi le cuticole, cercando di fare respiri profondi e di calmarmi. Già da bambina odiavo gli ospedali e ora, in seguito all'aggressione che ho subito qualche settimana fa, la situazione è decisamente peggiorata.

Clary non mi sta aiutando. Cammina avanti e indietro per il corridoio, si passa nervosamente la mano fra i capelli raccolti in una coda alta, che le lascia scoperte le orecchie piene di anellini. Da quando è arrivata non si è fermata nemmeno per un secondo. Sembra più preoccupata per la sorte del fratello che del suo ex ragazzo, infatti mi domando cosa ci faccia qui.

«Perché tuo fratello aveva un coltello a scuola?» chiedo.

Clary ferma la sua camminata nervosa e si volta verso di me. Tiene i pugni talmente stretti che riesco a immaginarmi le sue ossa schizzare fuori dalle nocche, tanto sono bianche. «Non lo so» risponde. Sospira tremolante, alza gli occhi al soffitto per ricacciare indietro le lacrime. «Mio fratello, lui è... Ti prego, non andare dalla polizia. Non è cattivo, solo... Se tu e Sam andaste dalla polizia potrebbero pensare che sia il responsabile della morte di quella ragazzina, verrebbe etichettato come assassino. Non è, però, un assassino, ha solo bisogno di aiuto. Lui...»

Fa fatica a parlare, non riesce a finire la frase. Le sue guance sono arrossate e gli occhi sono lucidi, ma non ho ancora visto scendere una lacrima sul suo viso. È evidente non voglia mostrarsi debole, sta cercando con tutte le sue forze di non scoppiare in un pianto disperato.

«Mi stai chiedendo di non denunciare tuo fratello dopo che ha cercato di aggredirmi? Per fortuna si è messo in mezzo Sam, che se la caverà con solo qualche punto al braccio. Poteva finire molto male, Clary» dico, usando il tono più pacato che io riesca a forzare. In realtà, sono molto irrequieta e arrabbiata. Ho le mani che ancora tremano per la paura, pochi secondi e avrei potuto esserci stata io al posto di Sam. Il tutto per una stupidaggine.

«Aimee...» Si siede accanto a me, mi stringe forte le mani. «Ti prego, gestirò io questa situazione. Io e la mia famiglia. Mia sorella ne uscirebbe distrutta. Farò qualsiasi cosa, ma non denunciatelo. Lo terrò sotto controllo.»

So che non dovrei, ma la sua disperazione mi impietosisce. Nonostante Clary non sia mia amica non riesco a odiarla del tutto, soprattutto perché riconosco che, in questo momento, è sincera. Annuisco, poco convinta. «Va bene, spero solo la situazione non degeneri» mormoro.

Clary annuisce e abbassa lo sguardo. «Ti ringrazio. Ti devo un favore.»



Mi sveglio all'improvviso, urlando. Mi guardo attorno: sono nella mia stanza, sono al sicuro. Porto una mano alla gola, sentendola ancora serrata, e bevo un sorso d'acqua dalla bottiglia che tengo sempre sul comodino. Guardo l'orologio, che segna la sei del mattino. Bree non c'è. Ultimamente è molto strana, assente, e sfugge alle mie domande preoccupate. Dice sempre di essere impegnata con lo studio, quando la mattina non c'è spiega di essere andata a correre o fare una passeggiata perché non riusciva a dormire. Deve essere andata così anche questa mattina.

Sospiro e mi rannicchio sotto alle coperte. Un incubo orribile. Joy mi trascinava con sé sotto la superficie del lago, teneva le sue minuscole mani strette attorno al mio collo. Eppure... quel sogno mi ha dato un'idea, probabilmente la più folle che io abbia mai avuto. Sarebbe utile per le indagini, ma rischierei anche la vita.

Avrei bisogno di qualcuno disposto ad accompagnarmi, ma chi?
Violet è fuori discussione, ancora mi tiene sotto controllo dopo la morte di Joy, e Jena le spiffererebbe tutto seduta stante. Sam è tornato a casa, ma avrà il braccio fuori uso per almeno una settimana.
Una persona, però, ci sarebbe. In fondo è da quando siamo bambini che dà retta alle mie idee folli.

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