Capitolo 11

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PAIGE

Per tutto il viaggio in aereo non feci altro che pensare e ripensare a ciò che avevo fatto. Che avevamo fatto. Ci eravamo baciati e non era tanto quello il problema, in realtà, il problema era che a me era piaciuto... e anche tanto.

Perché mi cacciavo sempre nei guai? Lo sapevo che non avrei dovuto, che me ne sarei pentita subito dopo.

E lì sorse un altro problema: quando scesi dall'aereo, finalmente tornata a Perth, realizzai che non me n'ero pentita per niente, anzi, se avessi potuto l'avrei rifatto ancora ed ancora.

Ma avrei dovuto smettere di pensarci: avevo due settimane nelle quali mi sarei solo divertita ed avrei avuto tutto il viaggio di ritorno per escogitare un piano grazie al quale avrei evitato Alec.

Quando uscii dalle porte scorrevoli dell'aeroporto di Perth, sbadigliai e strinsi gli occhi a causa del forte sole che scaldava la città. Ero finalmente a casa.

Cercai con lo sguardo l'automobile grigia dei miei genitori ed avanzai trascinandomi dietro le valigie, l'adocchiai e mi misi a camminare verso quella direzione.

Non appena arrivai a dieci metri da essa, due piccoli tornado dalla statura di centocinque centimetri mi corsero in contro. I loro capelli erano più lunghi e più folti e svolazzavano a causa della lieve brezza che tirava.

«Paige!» gridarono saltandomi addosso.

Lasciai subito le valigie per afferrarli, e quella volta fu più dura a causa della rincorsa che presero prima di avventarsi su di me allo stesso momento.

«Ehi ragazzi, avete fatto i bravi?» domandai loro scompigliando quei fantastici capelli di un biondo quasi dorato.

«Sì! Guarda qui.» Pacey mi sorrise e mi indico con il ditino i primi denti, tra i quali uno era mancante.

Sorrisi alla vista di quella finestrella che aveva in bocca e mi chinai per arrivare alla loro altezza «Stai diventando grande, ormai sei un ometto.» affermai facendolo ridere.

«Ora però gli insetti possono infilarsi! Peter ha detto così.» piagnucolò imbronciandosi.

Guardai mio fratello con sufficienza ed alzai gli occhi al cielo «Peter, di' la verità a tuo fratello, avanti.»

Il bambino, dopo attimi di incertezza, sbuffò e rivelò di aver detto una bugia.

«Ora devi mettere un dollaro nella scatola.» sbottò Pacey.

«Ragazzi, pensiamoci quando torneremo a casa: Paige sarà molto stanca ora.» s'intromise nostra madre.

Quel giorno indossava un prendisole color panna e delle ballerine nere: era come sempre fantastica anche nella sua semplicità, ed un po' la invidiavo per questo.

«Ciao mamma.» la salutai abbracciandola. Lei si stupì - e non poco - per quel gesto e ci mise un po' per ricambiarlo. In fondo, erano poche le volte nelle quali accadevano cose del genere, non la potevo biasimare.

«Vieni tesoro, tuo padre ci sta aspettando per tornare a casa, e c'è una sorpresa che ti aspetta.»

A quelle parole drizzai le orecchie per la curiosità e fui la prima ad entrare in auto.

Ci mettemmo abbastanza per arrivare a City Beach, il nostro quartiere tutt'altro che umile, ma molto accogliente.

Mio padre riuscì a permettersi una di quelle case solo perché in poco tempo riuscì a diventare capo di un'importante azienda della quale non ricordavo mai il nome. Quel posto mi piaceva ed era praticamente attaccato al mare, era anche abbastanza tranquillo, ma tutte le persone che ci abitavano erano per bene ed indossavano costantemente una maschera da buoni vicini.

SORRIDIMIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora