Capitolo 30

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Alessio.
1 agosto. Cleo è ancora qui. È passata una settimana dal "leggero miglioramento", e lei ha ancora gli occhi chiusi. Sono le 23:45... Stare qui mi consuma più forze di quanto pensassi, così mi siedo sulla poltroncina e mi metto comodo. Il letto in fianco a Cleo è vuoto ma non voglio far incazzare il dottore che già mi odia senza motivo.
Chiudo gli occhi, all'inizio mettevo pure le cuffiette ma da quando Lei ha avuto quel problema col battito cardiaco preferisco ascoltare il macchinario che suona frequentemente. Cerco di pensare a qualcosa di sereno per non avere incubi e mi addormento.

Vedo un ragazzo. Penso sia un sogno, anzi, certamente, dato che lo sfondo di tutto è bianco. "Alessio" mi chiama. Wow, uno sconosciuto sa il mio nome... Anche se sono sicuro di averlo visto da qualche parte. Quando è davanti a me mi allunga la mano. "Sono Diego", dice. Resto interdetto per qualche secondo. "Tranquillo, non sei morto, me l'ha chiesto anche la tua ragazza. Per la miseria, siete proprio telepatici!" Ride e io lo guardo ancora più male. "Hai visto Cleo?" Gli chiedo infine. "Si, in verità volevo parlarti proprio di questo. In questi giorni mi sono preso cura di lei, dopo essermi promesso che sarei stato il suo angelo custode. Lei ha sofferto molto, anche per la tua assenza... Però ora è arrivato il momento in cui potrebbe finalmente svegliarsi, e ho bisogno di te" mi dice e io annuisco, sperando solo che non sia un enorme cazzata. "Ho visto che ascoltare la tua voce la rilassa molto, così pensavo che cantandogli una canzone si sarebbe svegliata" mi sorride. "Ci ho già provato, amico" dico serio. "Infatti, ho un paio di idee per scriverne una, potresti aiutarmi" dice e annuisco... Non succederà niente, tanto vale provarci, no?

Mi sveglio in un bagno di sudore e annaspo sentendo il cuore battere a mille. Guardo il telefono appoggiato sul tavolino: sono le 8 del mattino.
Ripenso al sogno che ho fatto... Devo andare a casa, subito.
Prendo il telefono, il portafoglio e le chiavi e cammino velocemente per i corridoi, dove incontro Lia. "È successo qualcosa?" Mi chiede. "No, ehm... Io penso di sapere come svegliarla" sussurro come se fosse un enorme cazzata. Mi guarda non capendo ciò che ho detto. "È una storia lunga, ti spiegherò. Se tutto va bene torno a fine mattinata e... Speriamo si svegli" borbotto continuando la mia corsa.
Salgo in moto, che mi sono comprato come premio dopo gli esami, e sfreccio per le strade della cittadina, fino ad arrivare a casa mia.
Entro e corro in camera, non badando nemmeno a mia madre. "Signorino, dove corri?" Mi chiede preoccupata, ha paura di trovarmi come la scorsa settimana. "Mamma, io.... Cavolo, devo scrivere una cosa, ti racconterò!" Urlo dalla camera. Prendo matita, foglio e chitarra, e inizio a scrivere come se qualcuno mi stesse dicendo un dettato.

È l'ora di pranzo quando varco la porta del pronto soccorso. In mano ho due fogli con una canzone scritta in meno di un ora, credo veramente che forse rivedrò i suoi occhi.
Lia mi segue senza dire nulla, e appena arrivato di fronte allo studio del medico, apro la porta senza nemmeno bussare. Il dottore sta guardando una cosa sul computer, io mi faccio avanti e appoggio i fogli con violenza sulla scrivania. "Qui, c'è una cosa che penso possa svegliare la mia ragazza" affermo più serio che mai. "Ragazzino, non penso che con una canzone tu possa guarire un trauma celebrale di più di un mese" ride l'uomo. Mi prende in giro?
"Inanzitutto, non mi chiami ragazzino. Secondo, io so quanto la musica faccia bene a lei più di qualunque altra cosa, più di qualsiasi medicina, quindi non vedo dove sia il problema" ringhio. "Ragazzo, ascolta, io penso che tu sia solo un po' stressato dalla situazione. Ho 30 anni di carriera alle spalle, ho superato casi clinici molto più complicati ma anche molto simili, e per quanto mi piaccia la musica, non si potrà mai affermare che la musica curi un male così grande" afferma serio. "E se io le dimostrassi il contrario?" Chiedo ancora serio. "Io ti ho avvisato, sta a te decidere. Ti ricordo che l'orario di visita riprende alle 15. Arrivederci" mi congeda freddamente.
Esco dallo studio incazzato come non mai, oggi va a finire che seriamente meno qualcuno. Lia mi guarda dispiaciuta mentre è in piedi con le braccia incrociate. "Davvero questo è il tuo primario? Diamine, che persona orribile" affermo di fronte a lei. "Diciamo che non è una persona con cui puoi parlare di ogni cosa" sospira. "Comunque, non mi arrendo. Devo aspettare il pomeriggio? Aspetterò, poi farò quello che devo fare" affermo. Lei annuisce. "Speriamo" mormora. "Spero anche io" sussurro.

Resta anche domani (Alessio Bernabei) #Wattys2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora