Capitolo 9: Lee Chan

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Lee Chan:

«Channie, luce dei miei occhi, svegliatiiii!»

Mentre sono ancora nel mondo dei sogni, sento una voce familiare gridare a squarciagola che mi fa svegliare di soprassalto, e tiro istintivamente una bestemmia mentre mi riavvolgo fra le coperte.

Aish... tutto ciò mi ricorda così tanto Yoonji, ma al contrario, perché di solito sono sempre io che la sveglio ogni mattina, però ora so finalmente come si sente.

«Channieee! La colazione!» ripete la voce, emettendo uno squittio acuto più che mai.

Che palle! Possibile che io, un comune mortale ancora in cura e mezzo rimbecillito sotto gli effetti degli antidolorifici, non possa riposare in pace nemmeno in ospedale?

Insomma, normalmente non mi riposo quasi mai, ma questo non vuol dire che in ospedale io debba seguire i ritmi di quando sono sano! Che razza di vita è, questa?

Sbuffo di nuovo, quando sento dei passi avvicinarsi sempre di più al mio letto e scostarmi le coperte di dosso in un sol colpo, facendomi rabbrividire dal freddo.

Ah, ora capisco a fondo come doveva sentirsi mia sorella ogni singola domenica della sua vita, quando la andavo a svegliare alla mattina presto tirandole via le coperte di dosso!

La differenza è che però lei non stava mai male, no; la sua era soltanto pigrizia, tanta pigrizia, troppa pigrizia, mentre io adesso posso dire di avere delle buone scuse per non volermi svegliare, mi pare.

«Uffa! Infermiera, la prego, mi ridia le coperte!» biascico ancora assonnato, strizzando gli occhi per metterla meglio a fuoco sotto questa accecante luce mattutina, e dipingendomi in faccia un gran broncio.

Quella, d'altro canto, non la smette di infastidirmi e spupazzarmi come fa da quando sono arrivato qui, per cui si prende la libertà di accomodarsi seduta in fondo al mio letto e posa il vassoio di cibo sulle mie ginocchia, guardandomi speranzosa.

«Non ho fame» brontolo, incrociando le braccia al petto, anche se so che è tutto inutile, visto che sicuramente lei insisterà come al solito.

«Su, Channie del mio cuore, apri la boccuccia!» esclama infatti lei, prendendo una cucchiata di un cibo indefinito da una delle tante ciotole del vassoio e avvicinando il cucchiaio pieno alla mia bocca.

Ah, santa pazienza!

Ho 16 anni, sono grande ormai, non sono più mica un bambino dell'asilo! E per di più, mi sono operato al naso, non alle braccia. Posso farcela benissimo da solo a impugnare un cucchiaio o due bacchette!

E non l'ho solo pensato, ma glielo sto dicendo da un sacco di giorni... Tuttavia a quanto pare a questa capocciona dell'infermiera non è ancora entrato in testa, e non c'è verso di farle cambiare idea!

«Signora Jung, perchè mi tratta quasi come un figlio piccolo? Lei ha mai avuto dei figli o dei nipoti, per caso?» domando allora, cambiando argomento, non dopo essermi scostato il suo braccio di dosso.

Di tutta risposta vedo che la donna comincia improvvisamente a singhiozzare e a coprirsi il viso con le mani, quasi avessi detto qualcosa che non dovevo. Anzi, mi sa che è proprio così.

«C-certo che ce l'ho, un figlio! Un figlio bellissimo! Lui è... era... era così fantastico! Già, p-perché... M-mio figlio... lui è...» balbetta poi fra le lacrime, prendendo senza scrupoli dal vassoio il tovagliolo su cui avrei dovuto pulirmi la bocca io e cominciando a soffiarci il naso dentro senza un minimo di contegno.

Oh, santo cielo...

Sto vagamente cominciando a sentirmi in colpa. Forse non dovevo proprio parlarle e mettermi a mangiare la mia razione quotidiana di cibo d'ospedale schifoso senza opporre resisenza.

13 Boys, 1 Heart ❥SEVENTEENWhere stories live. Discover now