7. Cabina sette

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Leo lasciò gli archi sul suo tavolo di lavoro fino al giorno successivo. Aveva paura ad avvicinarsi, e anche paura di portarli alle loro nuove famiglie. Il solo pensiero gli faceva venire i brividi. Non voleva incontrare i figli di Apollo.

Non aveva alcun problema con loro, ma... gliene avrebbero chiesti altri. E lui non voleva perdere del tempo prezioso per le loro stranezze.

Leo finì di sistemare la moto e si passò la mano sporca sulla fronte, sporcandosi ancora di più. Non sembrò accorgersene, e i fratelli che lo salutarono erano anche loro coperti di grasso. Era un look normale per i figli di Efesto. L'unico trucco che mettevano lì in fucina, l'unico ben accetto.

«Torno a casa!» esclamò Leo, pulendosi le mani su uno straccio lurido. «Chi consegna la moto a Butch, figlio di Iride?»

«Quante dracme ti deve?» chiese Nina, comparendo al suo fianco.

«Quindici.»

«Facciamo diciotto. Ci penso io.»

Leo sorrise, annuendo, e se ne tornò in cabina. Prima di andare in doccia guardò James giocare alle costruzioni con alcuni dei suoi zii più piccoli, che avevano un'età compresa tra i sette e i nove anni. Tutti lo salutarono con un sorriso, ma quello di James era il più luminoso.

«Baccio?» domandò James.

«Dopo, sono sporchissimo, piccolo.» Leo gli lanciò un bacio e James annuì, tornando alle costruzioni.

Leo si avviò nella sua stanza, e si sfilò in fretta i vestiti sporchi, buttandoli nel lavandino. Nella doccia si affrettò a lavarsi le mani sporche, utilizzando i prodotti delle sue sorelle. Erano utili, ma puzzavano troppo di frutta.

Mentre si strofinava via il grasso dalle unghie, Leo si morse il labbro con forza. Stava facendo tutto quello per uno stupido figlio di Apollo. Non voleva fare brutta figura, e non voleva nemmeno che notasse le macchie di sporco su di lui e lo considerasse un cattivo padre. Era un dottore, poteva pensarlo.

A forza di strofinare la sua pelle diventò rossa e dolorante, ma Leo continuò fino a far sparire ogni traccia di sporcizia.

Impiegò un'ora a fare la doccia, e Leo sbuffò quando notò di puzzare quanto una delle sue sorelle. Si buttò addosso il suo solito profumo, si vestì in fretta e andò a cenare con James. Il figlio gli saltò al collo mentre si sedeva a tavola, di fronte al suo hamburger con patatine.

«Grazie Mike!» urlò Leo al fratello che si stava affrettando a preparare la cena per gli altri.

«Di nulla Leo!» strillò Mike di rimando, servendo il bambino. «Spero sia buono!»

«Lo è di certo!»

Stavano urlando perché nella stanza affianco avevano acceso lo stereo a tutto volume. Una cosa più che normale nella cabina Nove.

Padre e figlio iniziarono la cena, e James iniziò a raccontare al padre di tutte le costruzioni fatte quel giorno. Leo gli teneva d'occhio il cerotto sulla fronte. La ferita si stava riprendendo in fretta, e nel giro di un altro paio di giorni sarebbe guarita del tutto.

Quando finì di mangiare, Leo osservò il figo, mordendosi l'interno della guancia.

«Senti, James...» mormorò, e il figlio lo guardò curioso. «Papà tra poco esce con un amico.»

«Anch'io?»

«No, tu... tu resti a casa con zio, ehm...» Leo voltò la testa. «CHI MI GUARDA JAMES QUESTA SERA?»

«IO!»

«NO, IO!»

«LASCIALI STARE, LO GUARDO IO.»

Io non amo gli uomini. Amo solo luiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora