Harry intreccia velocemente la sua mano nella mia, percorrendo l'ennesimo corridoio: questo è pieno di vetrate e senza volerlo, sono io a condurre il percorso. Harry mi lascia fare, ma non andiamo poi molto lontano perché davanti a una vetrata c'è una poltroncina lunga sulla quale è possibile sedersi.

Deve aver intuito le mie intenzioni perché è lui il primo a prendere posto ed io mi siedo al lato opposto di essa; sono schiena contro il muro, così da poterlo guardare dritto negli occhi. Le sue gambe sono più lunghe rispetto alle mie ed entrambi siamo costretti a portarci le ginocchia al petto per stare un po' più comodi.

Harry mi ruba il caffè dalle mani, avvicinandoselo alle labbra e arricciando il naso al primo sorso; il suo iPhone vibra per quella che ho contato essere la terza volta, ma di nuovo Harry lo ignora, stringendo persino le labbra, quasi frustrato.

Vorrei davvero chiedergli perché si stia comportando in questo modo, ma evito di farlo perché se solo Harry avesse voluto farne parola con me, lo avrebbe già fatto; fuori il cielo è grigio e le gocce di pioggia punteggiano quasi totalmente la vetrata. La voce di Harry mi deconcentra.

«Sei preoccupata?» Il suo tono è sempre calmo e pacato, ma quando mi volto, l'espressione dipinta sul suo viso lo tradisce; il telefono continua a vibrargli nella tasca dei jeans stretti che indossa.

«Non proprio» replico in fretta, riprendendomi il caffè. «Voglio solo che questa storia finisca, ho bisogno che questo peso che ho sullo stomaco sparisca una volta per tutte.»

«Anche io.» Harry però non sembra ascoltare del tutto le mie parole, è distratto e si morde appena il labbro.

«Sei stanco? Vuoi tornare da Louis?» Annuisce comunque, spostandosi la bandana dai capelli per scompigliarseli appena.

La mano me la tende di nuovo, ma non si alza: ha risposto solo alla prima domanda. Torno a guardare fuori e per la prima volta, sono contenta che non abbia poi così tanta voglia di parlare.









Ho il collo indolenzito, il mio aver cercato di dormire con la testa posata sulla spalla di Harry per stare più comoda non si è rivelata poi una grande idea. In taxi non faccio altro che muovere il capo a destra e a sinistra, peggiorando però la situazione e provocando le risate di Louis quando sbuffo sonoramente. Gli rivolgo un'occhiataccia alla quale non può fare altro che rispondere con un'occhiolino; del Louis nervoso e scontroso non c'è più traccia, ci ha abbandonati non appena siamo saliti sull'aereo.

Harry è seduto davanti e sorride nello specchietto retrovisore quando Louis mi propone un massaggio al collo, che rifiuto scansandogli la mano. Louis si finge persino offeso ed è pronto a ribattere, ma il suo cellulare squilla insistentemente; fuori il sole è caldo e il cielo di un azzurro terso. Sarà difficile lasciare di nuovo tutto questo.

La strada che ci porta verso il quartiere di Evan mi è familiare come non mai, anche se il taxi ha deviato più volte per via del traffico; non è cambiato niente durante gli ultimi mesi, non succede mai. Abbasso appena lo sguardo quando passiamo davanti al mio appartamento; Louis e Harry non hanno idea di dove io abiti, ma gli apprezzamenti sul luogo li sento eccome. Non ho mai visto la casa di Louis, ma quella di Harry e della sua famiglia non ha niente da invidiare al circondario.

Il numero civico 450 è più vicino del previsto e tutti e tre scendiamo dal taxi qualche momento più tardi; è Louis a pagare la corsa, dicendomi persino di chiudere la bocca quando mi propongo di pagare la mia parte. Harry scoppia a ridere, tirando giù i bagagli: Louis ha con sé un piccolo trolley professionale, Harry un borsone di pelle nera.

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