36 - Vai a farti fottere

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3 febbraio

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3 febbraio

«Ivy, tesoro, sono giorni che stai asserragliata in camera a piangere» mi supplicò Max, bussando alla porta. «Esci, per favore, non posso vederti ridotta così.»

Sbattei le palpebre, interdetta. Borbottai qualcosa e mi asciugai le lacrime. E pensare che non piangevo mai. Avevo anche giurato a me stessa che nessuno mi avrebbe più ferito e, invece, eccomi qui, di nuovo a pezzi. Ancora una volta, mi ero innamorata dell'uomo sbagliato.

«Era un sì?» domandò serafico.

«No, non ancora: magari, più tardi» esalai, con un filo di voce. Sarebbe mai arrivato il giorno in cui non avrei pianto più e non avrei sentito quel peso enorme che mi schiacciava il cuore?

«Sicura che non vuoi parlarne?» incalzò Max.

Mi si serrò la gola. «Non adesso.» Non avevo né la forza di ribattere né di fronteggiarlo. Ero diventata una larva che si nutriva della sua stessa disperazione.

«Non vuoi neanche sapere come sta lui?»

«No» sibilai. Era serio, quando mi aveva guardato prima di voltarmi le spalle e farmi capire che tra noi era finita.

«Devi almeno mangiare, altrimenti non ti rimetterai mai in forze.»

«Non ho fame, ho ancora lo stomaco sottosopra.» Anche quella notte non avevo chiuso occhio, l'avevo trascorsa rivivendo cento volte la scena avvenuta al molo. Nella mia mente, lo vedevo ancora abbracciare la sua ex. Risentivo il rumore che il mio cuore aveva fatto quando si era spezzato in mille pezzi. E adesso desideravo solo dormire, e cancellare il pensiero di Rhys. Dimenticare che per quell'uomo io non provavo un sentimento effimero, ma uno di quelli che capitano una volta nella vita.

«Tornerà in sé, ti ama veramente. Non hai visto in che stato è...»

Spazzai via una lacrima solitaria. Mi sorprendeva che riuscissi ancora a piangere. Sembrava che avessi una riserva infinita di lacrime. «Non parlarmi di lui, ti prego» ringhiai, gettandomi sul letto. Forse, il suo non era vero amore. Oppure, anche se lo era, quella donna era riuscita a ucciderlo in un istante.

«Va bene, per adesso ti lascio in pace, ma questa sera, vorrei che tu uscissi da lì.» Avevo capito che si sentiva responsabile e avrebbe tanto voluto sistemare le cose. Dopotutto, era stato lui a mandarmi dal fratello. L'uomo che, giorno dopo giorno, era riuscito a rapire il mio cuore. Lo stesso che lo aveva dilaniato.

«Grazie, Max, forse lo farò.» Grazie di sopportare le mie bizze, grazie di essere così paziente. Speravo di tornare a vivere, senza avere la sensazione di un macigno al posto del cuore.

«Sto uscendo, ho un appuntamento di lavoro e starò via un paio di ore. Chiamami, se hai bisogno di qualcosa, mi raccomando.»

Aprii la bocca e la richiusi, poi mi alzai dal letto, ma non gli risposi. Mi vergognavo. Max era sempre stato gentile con me, e io lo ripagavo facendo la capricciosa. Da quando la mia bolla di felicità era scoppiata, ero sprofondata nell'apatia e nello sconforto. Il mio dolore era come un fiume sotterraneo che, ogni tanto, riaffiorava in superficie. E faceva un gran male. Volevo solo stare barricata in camera a leccarmi le ferite e a maledire mille volte suo fratello per aver distrutto quello che c'era tra di noi.

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