Parte 2

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Sono sempre stato insicuro, ma non sapevo che la gente lo poteva intuire. Me lo fece capire bene un signore che incontrai a Padova, sempre all'inizio della quarta.

Era un giorno importante e dovevo vestirmi bene. Scelsi dei jeans grigi slim ed un dolcevita nero attillato accompagnati dalle mie eterne Stan Smith bianche. Era un outfit semplice e con cui mi sentivo estremamente a mio agio, lo scelsi proprio per questo. Riusciva a darmi un senso di tranquillità e quel giorno ne avevo veramente bisogno. Penso che fosse così perché dentro ci stavo molto comodo e mi sentivo estremamente figo. Era un look semplice ma carino e la sera prima avevo letto che un outfit del genere è perfetto per i provini.

In classe in pochi sapevano che avrei fatto un provino come modello e pensavano fosse un segreto, ne parlavano sottovoce e non ne capivo il motivo. Mi chiedevano il permesso di parlarne con gli altri compagni ed io chiaramente accettavo. L'appuntamento con l'agenzia di moda era a Padova alle quattro di pomeriggio. Andandoci in macchina da Trieste, considerando anche il pranzo, ci avremmo messo circa tre o quattro ore, per cui dovetti uscire prima da scuola. Durante la giornata si era sparsa la voce di questo mio viaggetto e, prima che uscii dalla classe, mi augurarono tutti buona fortuna.

In cielo non c'era neanche una nuvola ed era pieno di piccioni in giro. Io li odiavo, mi facevano davvero tanto schifo e avevo il perenne timore che mi venissero addosso. Non capivo il motivo della loro esistenza.

Mio padre mi stava aspettando in macchina vicino all'uscita. Era parcheggiato accanto alla piazza dove noi studenti aspettavamo ogni mattina l'inizio delle lezioni. Un piccolo punto di ritrovo che bastava a tutti. Su due lati c'erano due strade parallele, da un altro lato c'era la scuola, un bell'edificio neoclassico di colore bianco, dalla parte opposta una chiesa luterana in stile neogotica grigia.

Mio padre aveva indosso la sua classica giacchetta azzurra, l'aveva fin da quando ne ho memoria. Stava fumando una sigaretta nel più assoluto silenzio. Non capivo il suo umore da lontano.

Un quesito più duro al quale dare una risposta era "perché ha accettato di venire?". Il nostro non era un bel rapporto (anzi inesistente) e mi faceva davvero strano che avesse voglia di accompagnarmi in macchina fino a Padova. Non era da lui, di solito non faceva mai nulla per me. Il massimo che riuscì a fare in sedici anni fu pagare gli alimenti a mia madre. Però non ce l'avevo con lui, semplicemente non me ne importava molto.

-Come stai? - Gli chiesi.

-Non tanto bene Leo. - Mi rispose con una smorfia di dolore sul viso. Solito, sta sempre male quest'uomo, pensai. Non ci credetti, pensavo fosse una scusa per non andare a Padova.

-Perché? che cos'hai? - Domandai fingendo interesse, in realtà mi preoccupavo solo di non poter fare il provino.

-Sempre quello. - Io non ne sapevo alcunché.

-Tipo? -

-Mi fa male la gamba. Io e il fisioterapista pensiamo che alla base ci sia un problema alla schiena e, causa cattiva postura, il dolore si è trasferito al polpaccio. Sì perché ho una cattiva postura e scarico tutto il peso su una sola gamba, quella che mi fa male. - Spiegò.

-Ah, mi dispiace. Sei sicuro di riuscire a guidare? - Mi assicurai.

-Sì, tranquillo. - La mia opinione era che voleva farmi capire quanto lui fosse una brava persona facendo quel gesto benevolo: accompagnarmi a Padova nonostante stesse male. Voleva gratitudine da me? un po' ce l'aveva, anche se era il minimo che potesse fare. Voleva farsi perdonare per non esserci mai stato? non doveva dimostrarlo in quel modo. Però forse era una sorta di contorto modo per dirmi: "in realtà io ti voglio bene". Un grido disperato di un padre che voleva riallacciare i rapporti con il figlio. Per me erano slegati da troppi anni e non mi era mai venuta l'idea di avere un rapporto padre-figlio normale, era passato troppo tempo, doveva pensarci prima. Lui stava cercando un contatto con me. Era mascherato da padre amorevole che passa una bella giornata con il figlio, ma nei suoi occhi vedevo altro: c'era una sofferenza velata, era pentito di essere stato sempre lontano da me. Al novanta per cento non m'importava tutto ciò e mio padre lo notò. Ciò creò un certo disagio in lui e perciò cominciò a chiaccherare, anzi, iniziò un vero e proprio monologo della durata di un'ora circa. Parlò dei suoi problemi con le donne e di loro in generale. Io non lo ascoltai del tutto, per la maggior parte del tempo rimasi incantato guardando il paesaggio (non stavamo facendo l'autostrada, ma strade regionali in mezzo ai campi). Finito il monologo tirai un sospiro di sollievo e misi della musica, "Mamma mia" dei Maneskin e continuai con altri loro brani. "Wanna be your slave", "Beggin". Dopo poco tempo mio padre si stufò e mise Gianni Morandi. Lo ascoltava sempre quando io ero piccolo. Mi venne un po' di nostalgia.

Un'aspirante qualcunoWhere stories live. Discover now