Parte 5 Di che cosa mi preoccupo?

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Filippo tiene il telefono stretto tra la guancia e la spalla mentre armeggia con il baule dell'auto. Io mi muovo come un automa, lo sguardo fisso a terra e il respiro affrettato. Sono agitata, ricolma di pensieri che non riesco a districare. Tra pochi minuti affronterò una visita dal ginecologo per la mia gravidanza. Probabilmente questo è il momento in cui mi renderò definitivamente conto che è tutto vero, c'è una creatura minuscola nella mia pancia, che tra qualche mese ne uscirà presentandosi come mio figlio, e che dovrò crescere e proteggere fino alla fine dei miei giorni.

Osservo Filippo in ansia. Ho bisogno di guardarlo negli occhi per tranquillizzarmi, ora, immediatamente, ma lui sta parlando concentrato al telefono. E' con suo figlio Andrea, che dopo una delicata operazione che ha coraggiosamente affrontato qualche settimana fa, ha recuperato quasi completamente la capacità di parlare. L'intervento ha notevolmente aumentato la qualità della sua vita, tanto che il suo unico limite ora è la paralisi delle gambe. Le cose sono migliorate a tal punto che Filippo e Laura hanno deciso che potesse finalmente vivere fuori dalla struttura in cui è rimasto per tanti anni. Da qualche settimana a questa parte, infatti, vive con la madre. E ora che ne ha la possibilità, sta recuperando tutto il tempo perso senza poter parlare liberamente.

Filippo scoppia a ridere ascoltando qualcosa che Andrea deve avergli detto al telefono, si volta verso di me e la sua gioia mi contagia. Ma di che cosa mi preoccupo? Siamo felici, stiamo per avere un bambino, Andrea sta molto meglio e la risata di Filippo è il suono più bello che abbia mai sentito.

Poso una mano sulla mia borsa e mi rendo conto di essere stata tanto distratta dai miei pensieri da aver dimenticato di portare con me gli esiti dei miei esami. Sbuffo, faccio un gesto a Filippo indicando l'ingresso del palazzo e lui annuisce riprendendo il discorso con Andrea al telefono. Ritorno sui miei passi per recuperare la busta che deve ancora trovarsi sul tavolino del soggiorno. Raggiunta la porta di ingresso dell'appartamento, frugo in borsa alla ricerca delle chiavi di casa. Un rumore famigliare ma inaspettato mi distrae.

Dalla porta a fianco alla nostra avverto il tintinnio di un mazzo di chiavi che apre la serratura. Mi fermo, incuriosita. Da quando ho traslocato qui ad agosto, l'appartamento a fianco è sempre stato sfitto. Allora, chi...

Una donna esce sul pianerottolo portando con sé una forte scia di profumo floreale e imprecando tra sé. Poggia rumorosamente a terra un paio di scatole, facendo cadere il contenuto di una di queste. Poi, mentre armeggia nuovamente con il mazzo richiudendo la porta, si accorge della mia presenza. Sorrido istintivamente e muovo un passo verso di lei.

"Ha bisogno di una mano?", chiedo cortesemente mentre mi chino a raccogliere un paio di cacciaviti caduti dalla scatola.

"Grazie, sei molto gentile. Questa serratura mi fa impazzire."

Mi rialzo porgendole la scatola, e la osservo. La donna di fronte a me è particolarmente avvenente: capelli biondi, alcuni più scuri a confondersi tra le radici, lisci e alle spalle; pelle luminosa, labbra sottili, due fossette ai lati che le conferiscono un'espressione sensuale, occhi verdi leggermente distanti tra loro. Poco meno di cinquant'anni, decido. E' una macchia di colori che cammina: indossa un cappotto rosso, pantaloni morbidi e piuttosto sformati sui toni del verde, e tra i capelli ha una fascia paraorecchie di lana cotta arancione. Una strana figlia dei fiori.

La donna mi sorride distrattamente, richiude la porta e si volta come per andarsene, poi, rendendosi conto di non essersi presentata, punta gli occhi sui miei e allunga una mano verso di me.

"Scusami, ho la testa tra le nuvole. Io sono Elena. Tu abiti qui?"

"Sì, proprio qui a fianco. Sono Marta." Le stringo la mano: la sua è piuttosto fredda e la sua presa è decisa.

Dentro il CuoreWhere stories live. Discover now