Parte 1 Non sono più io

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Apro gli occhi, sbatto velocemente le palpebre per mettere meglio a fuoco l'immagine che ho di fronte. Lo specchio di fronte a me restituisce l'immagine di una ragazza, una giovane donna. Capelli castani, molto mossi, le radici più scure e le punte ingiallite. Un po' crespi, a essere sincera. Pelle olivastra, viso ovale, occhi scuri e penetranti. Labbra definite e piene, gambe lunghe e corporatura piuttosto magra.

Sono io, indubbiamente. Il reggiseno e gli slip rosa che indossa quella ragazza allo specchio, sono i miei. Un completo acquistato qualche mese fa insieme a Carolina, in un nuovo negozio in città. I miei capelli sono sempre gli stessi, i miei occhi scuri, le mie dita affusolate, le mie spalle larghe. Anche lo sfondo mi appartiene: quella alle mie spalle è la mia camera da letto, l'armadio bianco, le pareti azzurre. Sono io, è certo. Eppure, allo stesso tempo, non sono più io. O meglio, non sono più solamente io.

Le mie dita si muovono lentamente seguendo un percorso circolare sulla mia pancia. La pelle è della solita carnagione, riconosco un paio di smagliature, qualche piccolo neo, ma ora che i miei occhi si soffermano sul mio ventre, è innegabile: sono completamente diversa. La pelle appare più piena, più soda, più tesa. Anche il reggiseno sembra faticare un po' più del solito a contenermi. Mi osservo il viso: gli zigomi alti sono sempre al loro posto, il naso, le labbra, ma c'è qualcosa di differente. Le mie guance sembrano più piene, i miei occhi sono più luminosi.

Come ho potuto non accorgermene subito? E' talmente evidente.

Inspiro profondamente con gli occhi chiusi, trattengo il respiro per qualche secondo e poi espiro tutta l'aria fuori dai polmoni. Riporto la mente alla mattina di qualche giorno fa. Riesco a percepire le mie mani stringere la busta, sentirne il peso e tastare la ruvidità della carta. L'odore del disinfettante, il freddo dell'aria condizionata, il brusio delle voci di chi sta attendendo sulle poltrone della sala d'attesa dell'ospedale, il suono del tabellone luminoso che avvisa il paziente numero 45 che è arrivato il suo turno. Rivedo l'impiegata che mi consegna la busta, gli occhi bassi, la montatura delle lenti che le scivola sul naso, il tono di voce piatto e annoiato. Sorrido, riflettendo sul fatto che quella donna non avesse idea di che ruolo importante stesse giocando in un momento chiave della mia vita. E' stata un'agente inconsapevole del grande ingranaggio del mio destino, il cui unico compito era quello di consegnarmi la busta contenente la svolta della mia vita. Il tutto è durato solamente qualche secondo, un "grazie", un "arrivederci", non c'è stato nemmeno un sorriso o uno scambio di sguardi, e l'impiegata non ricorderà nemmeno di avermi mai incontrata. Ma io .

Rievoco il momento in cui sono uscita frettolosamente in strada, correndo ad occupare una panchina a pochi metri, la busta stranamente pesante nella mano destra, e poi con le mani tremolanti l'ho finalmente aperta. Anche quella panchina, dopotutto, ha avuto un ruolo rilevante nel giorno della svolta della mia vita. Osservo ora la busta, ormai strappata malamente, adagiata sul letto alle mie spalle. Si riflette anch'essa allo specchio, con il suo aspetto assolutamente innocuo. D'altronde, è solo un po' di carta con dell'inchiostro stampato sopra. Quella stessa fibra di cellulosa non poteva sapere, ai tempi della sua creazione, che tipo di inchiostro sarebbe stato stampato su di essa, né per quale motivo, né che cosa ci sarebbe scritto sopra, né che sarebbe finita in mano mia, oggi, per dare una svolta alla mia vita. Comunque, niente di pericoloso. E' la stessa cosa che ho pensato non appena, quella mattina, ho afferrato il contenuto della busta e l'ho fatto scivolare fuori. Ho fatto correre febbrilmente gli occhi sulle pagine cercando di individuare subito quello che stavo cercando.

Tante sigle e parole incomprensibili mi saltano agli occhi. Dopodiché, alla fine di una lunga lista di numeri, un simbolo cattura la mia attenzione. Un asterisco. Un semplice simbolino, ma piuttosto minaccioso. A fianco, una sola parola. Positivo.

Quel giorno, quel solo, irripetibile giorno di gennaio, era iniziato senza sapere cosa avrebbe portato nelle vite dell'umanità, e chissà, forse per la maggior parte dei terrestri non avrebbe significato nulla, magari quel giorno non sarebbe accaduto nulla di particolarmente brutto, né di particolarmente bello, sul nostro pianeta. Ma per me, era stato decisamente il giorno della svolta.

Non sono certo sconvolta. O almeno, non del tutto: per me non è stata una completa novità. Sapevo praticamente con certezza quale sarebbe stato il risultato. Tuttavia è stato leggere quella parola, nero su bianco, con il mio nome sopra, a renderlo vero. Non che il test acquistato in farmacia non mi avesse già dato una bella scossa. La mia mente sfoglia le varie foto dell'album e si sposta all'immagine di me, seduta al bordo della vasca da bagno, che batto freneticamente il piede a terra, gli occhi puntati in basso e una strana forza che mi induce ad alzarli verso quel pezzo di plastica poggiato al davanzale. Sento di nuovo bussare alla porta, rivivendo le stesse emozioni di una settimana fa, il cuore in gola all'idea che fuori dal bagno ci fosse Filippo, preoccupato per la mia prolungata assenza. Io che osservo l'orologio mentre stringo le labbra fino a farmi male, afferro il test senza guardarlo, e me lo porto sul grembo. Urlo alla porta una frase qualsiasi per tranquillizzarlo, spiegando che ho solamente un leggero mal di pancia. Sto controllando il respiro per evitare di svenire. Infine, abbasso lo sguardo osservando il mio pugno, che stringe il test di gravidanza nascondendo alla vista il display che sta sicuramente già svelando le sue lineette con il risultato.

Rivedo ogni movimento di fronte ai miei occhi come se lo rivivessi sul serio. D'impulso, senza preventivarlo minimamente, spalanco la mano. Due linee mi si presentano sfacciatamente sotto gli occhi, dritte, rosse, nette. Due. Linee.

Ora i miei occhi tornano a vedere la mia immagine riflessa. Qui, tra le mie mani che stanno cingendo il mio ventre, c'è una nuova vita. E' piccola, quasi invisibile, ma c'è. Io lo posso sentire da prima di avere i risultati di quel test in bagno. Da prima ancora di ripetere l'esame in modo più scrupoloso in ospedale. Questa nuova vita si sta formando nella mia pancia, già, proprio qui dentro, e sarà una nuova vita per tutti.

Ora, sul viso della ragazza riflessa allo specchio, spunta un piccolo sorriso.

Dentro il CuoreWhere stories live. Discover now