Capitolo 22

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Chris era romantico, di quel romantico un po' sdolcinato che nei film io definisco "stucchevole" o "patetico", ma che nella vita reale non mi dispiaceva affatto. Mi sorprese con un biglietto disegnato a mano su cui aveva scritto "Biglietto per un viaggio lontano dalla realtà", aveva disegnato, o meglio, provato a disegnare due pinguini, non so bene perché proprio i pinguini, ma li avevo trovati ridicolmente carini e storti.

Lasciammo Julian a casa dei suoi genitori, che mi aveva permesso di conoscere qualche giorno prima, perché, come al solito, avevo l'ansia a lasciare mio fratello, e mi portò in macchina lontano dal college.

Dopo più di due ore di viaggio, fermò l'auto, sotto di noi la strada asfaltata era stata sostituita da una sterrata da almeno venti minuti, durante i quali avevo fatto il possibile per non lamentarmi del sedere indolenzito per i sobbalzi dovuti all'irregolarità del terreno.

Scesi dalla macchina e alzai lo sguardo sulla casetta in legno davanti a me. Era piccola, circondata da un patio su cui erano state accumulate sedie, anch'esse di legno, e un dondolo. Sembrava il posto perfetto dove far sedere delle anziane signore a fare la maglia o a sgranare fagioli. Il tetto spiovente era decorato da un comignolo e la porta era dipinta di bordeaux.

Le finestre quadrate si affacciavano proprio verso l'ampio spazio dove avevamo appena parcheggiato e io mi sentivo osservato da quella casetta, come se potesse decidere se ero degno o no di entrare.

Mi girai a guardare Chris, il quale aveva già preso gli zaini dal bagagliaio, e indicai la casetta di legno. Ricordava un po' la casetta di marzapane di Hansel e Gretel, forse non dovevo fidarmi, forse Chris mi aveva portato lì per mangiarmi.

«Apparteneva ai miei nonni, l'abbiamo ereditata, ma non la usiamo mai, troppo lontana, troppo isolata dalla civiltà, troppo tutto per i miei genitori, ma a me piace, sembra appartenere a un altro mondo, o forse a un altro tempo».

Annuii, tornando a guardare la porta dipinta e mi convinsi che non avrei potuto trovare nessuna strega al suo interno.

Quando entrammo, scoprii che non era troppo piccola, non come appariva dall'esterno. Aveva un salottino con un divano a due posti, un piccolo televisore con il tubo catodico e un angolo cottura, incorniciato da finestre che ne illuminavano i ripiani; al piano superiore c'erano un paio di stanze, una con un letto matrimoniale e una con due letti a castello e una cassapanca, che quella sera avrei scoperto essere piena di puzzle e vecchi giochi di società.

«Ho pensato avessi bisogno di riposo».

«Perché lo hai pensato?», ero sinceramente curioso, non pensavo di essermi mostrato più stanco del solito.

«Perché ti occupi di un bambino ogni singolo giorno, credo che sia giusto prendersi una pausa», e aveva ragione, perché, non appena mi sedetti sul divano, mi addormentai. Venni svegliato dal profumo di cioccolato dopo un'oretta; quando aprii gli occhi, trovai due tazze fumanti posate sul tavolino e in televisione un film degli anni Settanta.

«Chris», mugugnai, strofinandomi la guancia calda su cui mi ero poggiato addormentandomi. Mi sentivo leggermente frastornato, come ogni volta che capitava che mi addormentassi di pomeriggio.

«Eccomi», saltò gli ultimi scalini e mi raggiunse sul divano. Mentre dormivo doveva avermi messo una coperta sulle gambe, perché ora la stava sollevando per mettercisi sotto anche lui. Passò un braccio sulle mie spalle e fece in modo che io mi poggiassi contro il suo corpo. Era caldo, profumava di bosco, forse era uscito per prendere la legna per il caminetto che scoppiettava a poca distanza, era sorridente, perché era raro che capitasse qualcosa che potesse spegnere quella sua espressione e io continuavo ad avere la testa piena di pensieri, lui era un catalizzatore per la mia mente, stare con lui mi faceva decuplicare i pensieri.

La teoria dei calzini spaiatiTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon