Capitolo 4

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Mia madre era quella che era, non potevo contare su di lei, non potevo lasciarle in mano la topaia e Julian, non era nelle condizioni adatte per sopravvivere senza un aiuto, ma era pur sempre mia madre e quella di Julian, motivo per cui decisi di parlarle chiaramente e di riferirle la mia decisione finale.

La raggiunsi sul posto di lavoro perché sapevo per certo che lì non l'avrei trovata già ubriaca.

Camminai per quattro isolati e arrivai al supermercato nel doppio del tempo che impiegavo di solito quando l'andavo a trovare. Mi sudavano le mani e il cuore spingeva contro le costole. Sapevo che affrontare quella donna avrebbe richiesto tutte le mie energie, ma non potevo continuare a rimandare l'incontro.

Mi fermai davanti le porte scorrevoli e guardai per un istante il mio riflesso nel vetro. Avevo le occhiaie per aver dormito poco; il segno di un morso sul polso, perché avevo svegliato Julian all'improvviso per calmarlo durante un incubo; e un cerotto intorno al dito medio e anulare per essermi tagliato nel tentativo di aprire un barattolo di cetriolini scaduti da sette anni, ancora prima della nascita di mio fratello. La cosa assurda era che dovevo aprire quel barattolo per vincere una scommessa contro Franco: se avessi mangiato uno di quei cetriolini, lui mi avrebbe ripagato con del tonno in scatola, che avrebbe potuto coprire almeno due cene e metà di un pranzo. Il barattolo si era rotto tra le mie mani, il cetriolino non lo avevo mangiato e il tonno era tornato a casa di Franco.

Sospirai nel momento esatto in cui le porte scorrevoli si aprirono e il mio riflesso sparì. Quello dove lavorava mia madre era il supermercato più grande del quartiere, non a caso aveva ben cinque corsie, di cui una dedicata solo ai dolci, proprio il posto preferito di Julian.

Mi addentrai e cominciai a studiare ogni genere di verdura e frutta, qualcosa stava iniziando a marcire ed era su quel cibo che puntavo, a volte i commessi mi permettevano di prendere ciò che si stava rovinando e di portarlo a casa, altre volte capitava che mi regalassero confezioni di cibo scaduto uno o due giorni prima, cose che comunque loro non potevano più vendere, ma che per me erano salvezza.

Sollevai il mento in segno di saluto, quando passai di fronte al ragazzo del pane, nonché mio compagno di classe delle elementari, e poi lanciai un'occhiata in direzione delle casse. Lì avrei trovato mia madre, per lo più sobria, pronta ad ascoltare ciò che avevo da dirle, o così speravo.

Arrivai vicino alla sua postazione e mi schiarii la voce. Portava i capelli biondi stretti in una coda alta che le metteva in risalto gli occhi azzurri e le lentiggini. Si girò e mi guardò con un sopracciglio alzato.

«Sto lavorando, sei venuto a controllare?», mi chiese con tono piatto.

Era capitato più di una volta che fossi passato al supermercato per controllare che stesse effettivamente lavorando, non perché mi importasse di ciò che avrebbe potuto dirle il capo, ma perché il suo misero stipendio ci teneva ancora un tetto sulla testa e dell'acqua calda con cui lavarci. Se lo avesse perso, il lavoro, saremmo rimasti con pochi risparmi e sicuramente non ci sarebbero bastati per coprire tutte le spese. Quindi, la sua domanda era lecita, ma quel giorno non ero lì per controllarla.

«No, anche se mi fa piacere vedere che ti impegni».

«Sono io la madre».

«Ah, si? Non me ne ero accorto», sollevai un pacchetto di gomme, lo studiai con disinvoltura e poi lo riposi vicino la cassa.

«Samuel, che ci fai qui?», sbuffò e istintivamente cercò una bottiglia da afferrare a cui attaccarsi, ma non la trovò e si accontentò di una caramella, che masticò lentamente guardando ovunque tranne che me.

Dovevo dirglielo e, in qualsiasi modo lo avessi fatto, sarebbe comunque finito in tragedia, quindi tanto valeva farlo come si fa con i cerotti: un unico strappo veloce.

La teoria dei calzini spaiatiWhere stories live. Discover now