Capitolo 4

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Nel weekend firmai il contratto con mio fratello per l'affitto dell'appartamento sotto il suo e i miei amici mi aiutarono a passare dalla vecchia vita a quella nuova. Ebbi una buona offerta per la casa e mia cugina Laura, incinta, venne a vivere con me. 

Un giovedì sera, a poche settimane dal divorzio, trovai seduto sugli scalini una figura familiare. Credevo che fosse Ryan, ma quando mi avvicinai maggiormente, mi accorsi che era Rick.
«Cosa ci fai tu qui?» chiesi con astio.
«Giovanni.» Rick si alzò. «Come stai?»
«Distrutto, ma cerco di andare avanti.»
«Gio, ho sbagliato, lo so. L'ho lasciato e...»
«E?»
«Gio.» Rick sospirò. «Per tutto questo tempo ho provato dei sentimenti forti per te. E la gelosia ha prevalso.»
«Gelosia?» Non sapevo cosa cappero pensare. «Siamo solo amici. O meglio, eravamo. Non ti consideravo nulla di più. E mai lo farò. Ero felice, Rick. Quindi... non voglio rivederti mai più.»
Detto questo, entrai in casa e gli chiusi la porta in faccia.

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Io e Laura preparammo una nursery abbastanza maschile e carina, ma non tanto da farmi andare in coma glicemico ogni volta che ci entravo. Quando mi beccò ad alzare gli occhi al cielo alla vista del clown che nostra zia Jennifer aveva mandato per la festa del bambino tre mesi dopo, scoppiò a ridere.
«Cosa c'è?»
«Dio, Giovanni.» Fece un respiro profondo, carezzandosi il ventre gonfio. «Vorrei essere figlia tua.»
La festa era stata divertente, un party misto invece della solita festicciola riservata alle donne. Adesso, dopo essersi abbuffata di cibo fritto, cupcake azzurri e gelato, aver giocato a giochi stupidi e aver aperto regali, mia cugina era esausta e anch'io lo ero. Era sdraiata sul divano, con le gambe sollevate mentre io finivo di pulire e tenevo d'occhio il clown.
«Donna, i tuoi ormoni sono fuori controllo,» le dissi.
«No.» La sua voce era dolce. «Tu, Giovanni Martini, sei davvero una persona buona e tuo figlio sarà molto fortunato.»
Le sorrisi. «Solo perché il clown mi spaventa?»
«No, perché hai sempre voluto dei figli e anche se Ryan se ne è andato via, hai colto al volo questa opportunità e non hai mai avuto nessun dubbio.»
«E che mi dici di te? Quando il mio angelo nascerà, sei sicura che sarai in grado di darmelo? Per metà è tuo, lo sai?»
Scosse la testa. «Sto solo facendo la tua parte, tesoro. Se io fossi gay, mi aspetterei la stessa cosa da te.»
«Portare in grembo un bambino per nove mesi e riempiere una tazza non è la stessa cosa, Laura.»
Il suo sorriso era sereno e dolce. «Per me lo è.»
In quel momento era radiosa, finché non si accigliò e fece una smorfia come se avesse appena succhiato uno spicchio di limone. «Okay, il clown se ne deve andare.»
«Sì,» concordai. «Ci ucciderà mentre dormiamo.» scherzai.
«Oddio,» ridacchiò, «portalo fuori di qui.»

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La mattina successiva continuai a guardarmi dietro le spalle, verso il sedile posteriore, mentre portavo il clown e altra roba a un centro di recupero. Ero sicuro di averlo visto muoversi.
Quella sera, mentre stavo cenando con mia cugina, capii che nove mesi dopo che Ryan Anderson se ne era andato dalla mia vita, io ero ancora vivo. Non avrei mai pensato che fosse possibile, ma la persona più importante della mia vita in realtà non era ancora nata.
«Te la caverai,» mi aveva detto Laura.
Ed era stato così. Tutto era pronto per il bimbo. Me l'ero cavata bene.
Le acque di Laura si ruppero durante la notte e quando lei andò nel panico, io divenni la sua roccia. Non sapevo proprio che ce l'avrei fatta. Ma le tenni la mano e le parlai durante il cesareo che le fecero otto ore dopo che il dottore, per ben tre ore, aveva cercato di rigirare il mio testardo bambino, in posizione podalica. La mia dolcissima cugina, che aveva voluto che tutto fosse naturale durante quel meraviglioso miracolo che era la nascita di un bambino, finì per implorare tutte le persone nella stanza, me incluso, di darle un sacco di antidolorifici. Non voleva più sentire quel dolore immenso. Volevo che le dessero qualcosa in più, ma dopo la prima dose, si trasformò di nuovo in un coniglietto felice, invece della pantera feroce che sembrava essere diventata.
Quando mio figlio fece finalmente la sua apparizione, era bello e perfetto e lo chiamai Charlie come mio padre, che mi mancava tantissimo. Misi il nome di Ryan sul certificato di nascita perché era la cosa giusta da fare, anche se non gli diedi il suo cognome. Laura mi cedette i suoi diritti di genitore e l'adozione divenne legale e vincolante e il mio piccolino, Charlie Jacob Martini, sarebbe andato a casa con suo padre. L'amavo più di quanto credevo fosse possibile amare un essere umano e il dolore per Ryan cominciò finalmente a svanire. Nessuno poteva competere, se paragonato al mio angioletto.
Laura era felice per me, amava Charlie, ma non voleva saperne nulla di neonati o dell'essere genitori. Guardarla mentre si allontanava da me al terminal dell'aeroporto fu tristemente dolce. Mi sarebbe mancata, anche se non vedevo l'ora di essere solo con il bambino.
«Cercherò di essere il migliore padre al mondo, amore mio,» dissi all'amore della mia vita.
Ero certo che mi avesse fatto l'occhiolino.

Una seconda occasioneOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz