15. Nikolaus

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Quel giorno Katharina Werner apparve sulla soglia del mio ufficio senza la solita sprizzante energia che esibiva anche dopo un'intera giornata di lavoro, anzi tutto nel suo portamento mi suggeriva una stanchezza logorante, come se fosse stata in piedi tutta la notte o il sonno non fosse stato ristoratore come invece avrebbe dovuto. Anche le trecce altrimenti ordinate ma sempre con stili differenti che aveva sfoggiato nei giorni precedenti stavolta erano delle semplici trecce basse, di quelle che anche le bambine sapevano fare, e lasciavano piccoli ciuffi dei lunghi capelli castani fuoriuscire dai legami.

Quell'aspetto un po' più semplice non le faceva perdere nulla dell'innegabile fascino, confermava solo che, a differenza di quanto avesse lei stessa affermato, ciò che l'aveva allontanata il giorno prima non si era davvero risolto. O almeno quella fu l'unica spiegazione che riuscii a darmi sul momento.

«Buongiorno.» Anche il sorriso che mi rivolse non era luminoso come lo era stato nei giorni precedenti. La voce aveva lo stesso tono a tratti svogliato e a tratti malinconico che avevo avuto modo di udire già la sera precedente attraverso il telefono, l'impressione che mi era rimasta addosso dalla sera precedente era quella di profondo distacco. Non è che io e lei avessimo un rapporto profondo, in realtà quasi potevo dire che non ce ne fosse proprio uno, ma nonostante ciò mi ero preoccupato abbastanza da prendere il numero di telefono dal suo file nel database delle risorse umane solo per sincerarmi della situazione.

«Buongiorno.» Mi appoggiai allo schienale dietro di me e osservai ancora una volta la sua figura. «Ho una proposta per te.»

Una scintilla di curiosità si accese finalmente nel suo sguardo ma l'unica risposta che ricevetti fu un cenno per spronarmi ad andare avanti.

«Visto che sui progetti ci passiamo sempre almeno due volte, perché non facciamo lavoro di squadra e lavoriamo simultaneamente sullo stesso schermo?»

Non era una cosa usuale, me ne rendevo conto, ma ero curioso di toccare con mano il suo modo di approcciarsi ai vari progetti, magari avrei potuto imparare anche io qualcosa.

«Non ci ho mai provato.» Cominciò tentennando un po' prima di riprendere la solita sicurezza. «E potremmo dover rimandare indietro lo stesso progetto più volte.»

«Non credo sarà quello a fermarci.» Puntellai i gomiti sul piano della scrivania senza distogliere lo sguardo da lei che, pensierosa, si prese qualche secondo per ponderare quella mia strana richiesta.

«Okay, vediamo se questa cosa funziona.» Esclamò infine senza però apparire affatto entusiasta. Quasi mi pentivo di averla esternata proprio in quel momento visto che lei non sembrava per nulla in vena di fare esperienze nuove, per quanto stupide potessero queste essere.

Nonostante quel mio sopraggiunto pessimismo, non esternai nulla e, quando lei mi fece cenno di seguirla, scostai la sedia dalla scrivania e fui dietro di lei in un attimo.

«Io prendo la sedia e tu il computer?» Domandò pragmatica afferrando il device per tendermelo. Non appena ebbe le braccia libere, lei si chinò sul blocchetto di post-it gialli e scribacchiò qualcosa riuscii a vedere solo quando si tirò su.

Sono nell'ufficio del boss, bussate là se vi serve qualcosa.

Sorrisi nel vedere quella nota vergata nell'ordinata grafia che avevo avuto modo di osservare in precedenza.

«Lascia sempre messaggi per tutti?» Domandai mentre Katharina si sporgeva ad attaccare il foglietto giallo evidenziatore in un punto che fosse visibile a tutti.

«Oh sì, spargo post-it come se fossero petali di rosa.» Una piccola vena ironica e giocosa animò quella risposta, ormai ero giunto alla conclusione che Katharina usasse quel tono in maniera quasi inconsapevole, lo tirava fuori troppo spesso per pensare il contrario. Non che mi dispiacesse, anzi quelle uscite così particolari mi divertivano.

Armonia di sogni e speranzeWhere stories live. Discover now