3. Nikolaus

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Passare dal caos di Roma a quello più ordinato ma mai dormiente di Berlino fu strano. Roma era una città confusionaria ma che in qualche modo riusciva sempre a sorprendere un occhio esterno, Berlino invece era più familiare, più moderna. In qualche modo però le due città si somigliavano, certo, Roma aveva un qualcosa da visitare praticamente ad ogni angolo, ma anche Berlino aveva di che offrire a chi voleva improvvisarsi turista e organizzare una giornata ad hoc.

Lasciare la capitale italiana era stato facile, nonostante ci avessi passato quasi dieci anni, a distanza di un viaggio in aereo mi aspettava la città che mi aveva visto nascere e che mi avrebbe riaccolto con un carico maggiore di responsabilità e un'intera azienda da mandare avanti.

Soprattutto, a Berlino mi aspettava la mia famiglia.

Abel e Tristan mi erano mancati e, anche se al giorno d'oggi c'erano i mezzi per sopperire alla lontananza, vederli solo tramite videochiamata o quei pochi giorni durante le feste era stato duro. In special modo perché loro due erano capaci di distogliermi dal mio lato stacanovista che, in loro assenza, aveva invece prevalso.

Quando gli avevo comunicato che sarei presto tornato da loro, i due si erano mossi subito per organizzare in mia vece tutto ciò che potevano, così che, una volta messo piede su suolo natio, non dovessi preoccuparmi di nulla di urgente. Quei due pazzi mi avevano persino trovato una casa sul Kurfürstendamm, il celebre viale noto per i suoi locali e l'accesissima vita sociale.

L'appartamento all'ultimo piano del numero 16 del Kurfürstendamm sembrava fatto apposta per me, era abbastanza in alto da permettermi di giorno di godere della vista ampia e colorata sul quartiere e di notte di perdermi nelle luci della città e lasciar andare i pensieri. Anche gli interni non mi avevano deluso, in pieno stile moderno e minimalista, rispecchiavano lo stile che avevo scelto per la casa a Roma e i miei fratelli, da grandi osservatori quali erano, dovevano aver notato quanto quello stile mi piacesse.

Feci appena in tempo a posare le valigie in camera e a tirare fuori il necessario per la notte dal borsone quando il cellulare cominciò a diffondere le note di Für Elise per l'aria.

Maledissi chiunque aveva avuto la magica idea di chiamarmi a un'ora così tarda.

Ovviamente non poteva essere altro che quell'impiccione di mio fratello.

«Abel.»

«Sei arrivato a casa? Ti piace? Hai trovato tutto il necessario?»

La pioggia di domande fece nascere un sorriso istintivo sul mio volto.

«Abel, sono io il maggiore, ricordi?» Lo richiamai dolcemente, era il mezzano tra noi ma caratterialmente sarebbe stato un perfetto fratello maggiore, in special modo se consideravamo la sua spiccata propensione a preoccuparsi sempre di tutto e tutti. Questo aspetto mi faceva sempre strano visto che quando indossava le vesti di giornalista d'inchiesta quel suo lato buono spariva in favore di una forsennata ricerca della verità.

«E che vuol dire? Non è che non ti pensiamo.» Ribatté lui con una mezza risata ad animarne la voce. «Allora, come è stato il volo?» Chiese subito dopo.

«Noioso, specie in compagnia di Arlette che non è stata zitta un attimo.» Alzai gli occhi al cielo anche se Abel non poteva vedermi, Arlette sapeva essere snervante ma, nonostante quei momenti di chiacchiera compulsiva, apprezzavo la sua compagnia.

«Ancora ti sta dietro? E poi, scusa, cosa ci faceva anche lei sul tuo aereo?» Con l'ultima domanda il tono era mutato per scivolare verso quello più inquisitorio che gli avevo sentito usare solo vestiva i panni del giornalista.

«Una coincidenza, ci eravamo salutati qualche giorno fa dato che lei lasciava l'Italia per lavoro ma a quanto pare quell'incarico era proprio a Berlino e, indovina un po', anche lei ha la famiglia qui.»

«Non so se essere inquietato da questa cosa o se credere davvero alle coincidenze.»

Ad occhio esterno la situazione poteva sembrare davvero equivocabile, ne ero consapevole, ma Arlette sapeva a cosa andava incontro ogni volta che sceglieva di continuare a frequentarmi e di certo i sentimenti non erano implicati.

«Cinquanta e cinquanta, fratello.» Risposi fermandomi ad osservare le luci della città ancora viva sotto di me.

«Basta che non si fa idee strane alle tue spalle.»

«Arlette sa che non provo alcun sentimento per lei e anche lei non ne prova per me. Quando chiuderemo la nostra storia non ci saranno drammi.» Precisai, i miei fratelli non sapevano molto di quell'effimera storia e non mi avevano mai detto nulla che rivelasse cosa ne pensassero.

«Speriamo. Non mi stupirei del contrario.» Il sarcasmo grondava dalla voce di Abel ma il secondo dopo tornò ad un tono più gioviale. «Comunque non ti ho chiamato per sentirti parlare delle tue conquiste romane.»

«Davvero? E io che pensavo di sì!»

«Molto divertente, fratello.»

«Dai piccoletto, spara che se non mi metto a letto, tra qualche minuto mi sentirai dormire in chiamata.» Riesumai quel soprannome che non avevo usato molto negli ultimi anni e, quando lo pronunciai, lo sentii sbuffare. Ero pronto a sentirlo commentare qualcosa, invece rimase focalizzato sul discorso.

«Domani mattina vieni a fare colazione con me e Tristan?»

«Andata, mandami sul telefono tutte le informazioni.»

Dopo i saluti di rito, risposi il telefono nella tasca di pantaloni della tuta, certo che per quella sera non ci sarebbero state altre telefonate, non avevo fatto i conti con l'impazienza dei miei genitori.

«Vi siete messi tutti d'accordo per chiamare stasera?» Risposi per la seconda volta al telefono mentre mi stropicciavo gli occhi, la stanchezza si stava facendo sentire tutta insieme e io necessitavo davvero di staccare la spina.

«Sai succede quando uno torna da un viaggio e non fa sapere nulla.»

L'ironia era di famiglia, su questo non c'erano dubbi, ma eravamo uniti nonostante tutto e la sensazione di avere sempre le spalle coperte mi era mancata nella mia parentesi italiana.

«Di la verità, ti ha obbligato mamma a chiamarmi?»

Solo lei poteva preoccuparsi così tanto, non che mio padre non lo facesse ma era un carattere diverso, più paziente, il tipo che aspetta la mattina dopo per chiamarti e chiedere della sera precedente. Affari esclusi ovviamente.

La mia supposizione si rivelò esatta perché ci fu qualche secondo di mormorii e poi la voce di mia madre giunse al mio orecchio.

«E vorrei vedere, sei su suolo tedesco da quasi due ore e ancora non ti sei degnato di mandare un messaggio per dire sto bene

Mi aspettavo quel rimprovero quindi non mi scomposi davanti al suo tono fintamente adirato, se lo fosse stata davvero avrebbe avuto un altro tipo di reazione.

«La prossima volta lo manderò direttamente la mattina dopo.»

«Così te la ritrovi a casa armata mazza per menarti meglio.» Rispose mio padre mascherando una risata, io invece non mi nascosi e proruppi in una risata di gusto. Non l'avrebbe mai fatto, ma, con il carattere che si ritrovava, l'immagine di mia madre che si presentava a casa mia con tanto di arma non stonava affatto.

«Domani passo a trovarvi, va bene?» Mediai quindi buttandomi sul letto.

«Ti fermi a pranzo? Ci saranno anche Abel e Tristan con le ragazze, se non sbaglio non vedi Marika e Meredith da un po'.»

Non serviva che aggiungesse quell'ultima parte, mi aveva già convinto quando aveva avanzato la sua proposta.

«Non potrei mai dirti di no.» 
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E conosciamo anche il nostro Nik!

Piano piano le cose si stanno facendo interessanti, non pensate?

Prossimo appuntamento con AdSeS: sabato
Ma questa settimana ci vediamo anche lunedì con le novelle e martedì con la Dramione❤️

Giorgia💫

Giorgia

Armonia di sogni e speranzeWhere stories live. Discover now