8. Katharina

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Quel lunedì mattina cominciò con il tempo in netto contrasto con il mio umore, mentre fuori la nebbia imperversava, io ero carica e pronta ad affrontare la settimana. Era una cosa inusuale per me, di solito vivevo il lunedì come un dramma anche quando nel weekend non avevo fatto chissà cosa, quel giorno in particolare però mi sentivo bendisposta verso il mondo, avevo persino messo la playlist delle occasioni felici composta dalle canzoni dell'infanzia, ma quel buonumore non era destinato a durare.

Canticchiando sottovoce Il mondo è mio direttamente dal cartone di Aladdin spinsi con il gomito la porta a vetri del maestoso edificio che ospitava la Mayer Adversing Society, in mano tenevo due caffè con l'intenzione di offrirne uno al mio nuovo capo. Anche se non sapevo se fosse solito bere quella bevanda, volevo fare un gesto carino e mi pareva brutto presentarmi semplicemente lì come se fosse un giorno come un altro, motivo per cui ero anche in anticipo, più di quanto non fossi di solito.

Con Jakob avevamo una routine consolidata in tanti piccoli dettagli, come il fatto che chi arrivava prima prendeva il caffè per entrambi o il dettaglio della porta lasciata socchiusa quando era libero, non mi prefiguravo di arrivare a una cosa del genere ma credevo che una convivenza civile fosse quantomeno doverosa.

Se fino al venerdì precedente non avevo speso neanche un pensiero per quel tipo di aspettative, nel weekend avevo avuto più occasioni per crearmi qualche paranoia o immaginare scenari. Da quelle elucubrazioni ero uscita determinata a volgere la situazione al meglio, in caso contrario avrei comunque trovato una soluzione, ma preferivo pensare che tutto sarebbe andato per il meglio.

Ancora con le cuffie nelle orecchie, salutai Samuel dietro il bancone dell'accoglienza e, con Treat you better di Shawn Mendes in sottofondo, raggiunsi l'ascensore che mi avrebbe portato dritta dritta al mio piano. Odiavo quei trabiccoli, mi rendevano claustrofobica, e i pochi secondi che ogni volta mi ritrovavo a passare al loro interno e che rischiavano di scatenare un attacco di pani mi sembravano eterni, ma concentrarmi su cosa stavo ascoltando al momento e tenere gli occhi chiusi finché non sentivo il rumore delle porte che si aprivano aiutava.

Quando arrivai al piano, tutto ancora taceva, non doveva essere arrivato ancora nessuno. Quella supposizione però venne smentita qualche secondo poco da un leggero rumore di passi proveniente proprio dalla porta chiusa dell'ufficio che fino alla settimana precedente era stato di Jakob.

A quanto pareva, anche Nikolaus Mayer era arrivato con largo anticipo.

Appesi la borsa e il cappotto al gancio dell'appendi abiti e abbassai le cuffie lasciandole intorno al collo e, recuperando i due caffè ancora abbastanza caldi da essere bevibili, mi apprestai a fare quella nuova conoscenza.

Quella che mi disse di entrare era una voce bassa, roca e, se avevo sentito bene, in parte anche graffiante. Non avevo mai visto Nikolaus Mayer abbastanza a lungo e vicino da ricordarne i tratti somatici, così mi meravigliai nel constatare che non somigliasse affatto al padre. Lo sguardo che mi riservò poi non aveva nulla del calore che invece le iridi di qualche tonalità più scure del mio ormai ex capo erano solite riservare un po' a tutti, al contrario, queste esprimevano un'assoluta freddezza e un distacco che quasi mi mise in soggezione.

«Buongiorno. Le ho portato il caffè, non sapevo come lo prende quindi ho optato per il gusto classico.» Esordii esibendo un sorriso che rispecchiava il mio umore di quella mattina, anche se un po' di quell'entusiasmo iniziale stava andando scemando sotto lo sguardo glaciale di quegli occhi verdi. Solo un momento più tardi realizzai che l'uomo davanti a me era lo stesso con cui mi ero scontrata al Café Melon.

Accidenti, non ci voleva pensai realizzando che qualsiasi speranza di iniziare quella conoscenza in maniera amichevole era sfumata ancor prima che avessi l'intenzione di formularla.

Anche lui mi riconobbe subito, me ne accorsi dallo scintillio contrariato che attraversò il suo sguardo e dal movimento ben più palese del sopracciglio che, quasi avesse vita propria, si alzò rendendo il cipiglio dell'uomo davanti a me ancor più severo.

Per un momento, mi chiesi se sapesse sorridere, diamine l'avevo visto già due volte, tre se contiamo anche il fuggevole incontro nel weekend, e neanche l'ombra di un sorriso aveva fatto capolino sul bel volto del mio nuovo capo. D'altra parte però, né al Cafè Melon né alla discoteca eravamo stati insieme abbastanza a lungo da esprimere più di una ristretta gamma di emozioni.

«Lei è la signorina Werner.» Asserì quasi come se non potesse credere ai suoi occhi.

«In persona.» Gli tesi la mano sforzandomi di aprirmi in un sorriso che non sentivo più così pronto ad esibire. Mi ero ripromessa che se avessi rivisto l'uomo della camicia gli avrei detto quello che pensavo, a quanto pareva anche quel proposito si era dissolto nel nulla poiché ora quello stesso individuo era il mio capo e, visto l'inizio già burrascoso, dovevo mordermi la lingua più di prima per non rischiare qualche spiacevole ritorsione. «Visto che sono qui, volevo anche scusarmi per quanto accaduto l'altro giorno.»

«Quindi lei ha perso tempo per andare a prendere qualcosa che potrei aver già preso quando poteva arrivare in anticipo e usare quel tempo in più per fare qualcosa di produttivo?»

Okay, il ramoscello d'ulivo io l'avevo porto, ma se questo doveva essere il trattamento che intendeva riservarmi e se pensava che me ne sarei stata zitta e buona a subire come il peggior stereotipo della segretaria in un film porno, aveva capito male. Non mi sarei fatta mettere i piedi in testa neanche da una divinità, figurarsi da un qualunque uomo che si credeva chissà chi.

«Se non se ne fosse accorto,» Cominciai con tono gelido. «Io sono in anticipo. Anzi al momento ho ben sette minuti prima che l'orario di lavoro cominci e visto che lei sembra non apprezzare un gesto fatto con le migliori intenzioni direi che non abbiamo nulla da dirci. Ora, se vuole scusarmi, vado a godermi questi minuti senza fare assolutamente niente di produttivo, come dice lei.»

Onde evitare di fare altri danni, dopo quelle che parole che mai avrei dovuto pronunciare se al posto di Nikolaus Mayer ci fosse stato ancora Jakob, uscii dall'ufficio sbattendo la porta e, seduta di nuovo alla mia scrivania, tirai di nuovo su le cuffie pronta ad aspettare l'orologio spaccare il minuto.

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Lo possiamo definire esplosivo questo incontro? Che dite? In effetti la mia alpha reader per eccellenza, mia madre, dice che potrei farlo passare per un retelling di Orgoglio e pregiudizio :)

Prossimi appuntamenti:

- lunedì con le novelle Fragmenta Amoris

- martedì con l'ultimo capitolo della Dramione Pure Blood

- mercoledì con il capitolo 9

Giorgia <3

Armonia di sogni e speranzeWhere stories live. Discover now