6. Katharina

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Se la giornata era cominciata nel peggiore dei modi, non potevo dire che era continuata con quel malumore, anzi l'episodio al Café Melon era rimasto un caso isolato e le ore restanti si erano rivelate infine produttive e piacevoli, con la playlist di Spotify che aveva smesso di riprodurre le sue canzoni solo durante le passate con mio padre.

Anche quel giorno aveva cercato di mascherare la preoccupazione che lo stava avvolgendo sempre più dietro il solito sorriso bonario, ma stavolta non mi ero arresa davanti al primo ostacolo e, non appena l'orario delle visite era finito, ero andata in cerca del dottor Baumgarten, che sapevo per certo essere di turno.

Purtroppo, avevo fatto un buco nell'acqua, non poteva dirmi nulla per via del segreto professionale. Avevo provato a insistere un po' ma alla fine mi ero dovuta tirare indietro senza aver cavato un ragno dal buco, negli anni avevo imparato che, sì, il segreto professionale era una cosa abbastanza labile quando entrava in gioco il consenso implicito, ma per impuntarsi così Baumgarten doveva aver ricevuto delle istruzioni precise da mio padre. E questo non mi piaceva per niente.

Temevo che gli avessero comunicato qualche cattiva notizia, e con questo non intendevo qualche analisi sballata o qualcosa di visibile nelle TAC, quelle ormai erano all'ordine del giorno, ma qualcosa che assomigliasse a gli esami hanno rivelato che il tumore è ritornato a progredire velocemente.

Quella possibilità era il mio tarlo fisso da quando mio padre si era aggravato tanto da dover rimanere nel reparto di oncologia per via delle crisi ravvicinate e sempre più pericolose, e ogni volta che entravo nell'edificio bianco e imponente pregavo qualsiasi divinità ci fosse per non udire quel giorno qualcosa che potesse c'entrare quella frase.

Sapevo che prima o poi l'avrei dovuta affrontare, era inevitabile, il tipo di tumore che aveva mio padre non ci lasciava grandi speranze, ma volevo che fosse il più tardi possibile.

Ma, considerando l'assenza di qualsivoglia notizia, per fortuna non era quello il giorno.

E la probabilità che si rivelasse tale era molto bassa visto che l'orario di visite era passato indenne e ormai potevo ritenere quella possibilità ormai nulla, a meno che non succedesse qualcosa di imprevisto nella notte, ma in quel caso non avrei potuto far altro che rispondere tempestivamente e pregare che andasse per il meglio.

Quella sera però volevo lasciare fuori quel tipo di pensieri, con degli amici avevamo organizzato all'ultimo minuto una serata al Ritter Butzke, uno dei club più noti di Berlino. I messaggi che la mattina mi erano costati quell'increscioso quanto irritante incidente al Cafè. Nello scrollare quanto avevano detto avevo captato che uno di loro era riuscito a rimediare dei biglietti per vie secondarie e aveva colto la palla al balzo per organizzare quell'uscita. Inutile dire che nessuno di noi aveva detto di no. Come gruppo non riuscivamo a vederci spesso, ma quando capitavano queste occasioni eravamo sempre pronti a riunirci anche all'improvviso.

La folla in coda davanti al Ritter non ci sorprese, quel posto era conosciuto perfino dai turisti che erano disposti ad aspettare ore e ore esposti al freddo pungente primaverile per poche ore sulla pista da ballo, noi, al contrario loro, non lo eravamo e il sistema d'entrata del Ritter, che dava la precedenza alla tipologia che Adam aveva preso per tutti noi, giocava a nostro favore.

Appena dentro, rimasi frastornata per un momento dalla rapida sequenza delle luci al neon che contrastavano in maniera decisa con la penombra da cui eravamo appena venuti, ma una volta che gli occhi si abituavano al susseguirsi cangiante di colori si poteva scorgere un ambiente che giocava sulle tonalità del legno e con i riflessi che si disegnavano su di esse. Da molti quel locale veniva visto come un luogo dove la creatività e l'estro artistico potevano esprimersi a pieno.

Armonia di sogni e speranzeWhere stories live. Discover now