14. Una stanza che sa di giallo

314 27 175
                                    

Valeria's pov

«Sei ancora qui?», lo provocò Thomas.

Lentamente, allentò la presa sul colletto del suo giaccone. L'uomo cercava di mantenere il contatto visivo, ma le palpebre gli si chiudevano e riaprivano a intermittenza, lasciando intravedere la sclera iniettata di venuzze rosse. 

«Sei sordo o non hai capito che devi smammare?», fece scorrere una mano sul suo pettorale fasciato dagli indumenti, poi gli puntò due dita contro e diede un'altra spinta. 

Lui, di rimando, raggrinzì le sopracciglia imprecando a bassa voce. Fece per voltarsi in direzione di una panchina, ma Thomas gli girò attorno e con un balzo afferrò la bottiglia che teneva ancora stretta in una mano. 

«Questa la prendo io.» 

«Sciuucchiamelo, ragazzino!» 

«Preferisco farmelo succhiare, vecchio bavoso. E ora vattene», gli ordinò congedandolo con un cenno del capo. 

L'uomo doveva aver capito che, tra i due, non era quello con i riflessi più pronti, così si allontanò, barcollante, e borbottando un'altra serie di insulti incomprensibili.   

Thomas si assicurò che avesse percorso una distanza sufficiente da averlo il più lontano possibile, prima di gettare la bottiglia in un cestino. 

Quando tornò da me, incollò il suo sguardo su ogni parte del mio viso.  

«Stai bene?»

Annuii, stringendomi le braccia attorno al cardigan. «Grazie.»

«Non devi ringraziarmi, l'avrei fatto per qualsiasi ragazza.»

E non so se interpretare questa frase come un "Non mi importa di te, ma non avrei lasciato che ti facesse del male" o come un "Non mi importa di te, ma nessuna ragazza merita di essere molestata in questo modo". 

Perché l'ipotesi che gli importi di me è da escludere, a prescindere.

Mi presi un attimo di tempo per guardarlo meglio. Aveva abbandonato il suo bomber nero e ora indossava una maglia nera coperta da un giacchetto in denim. Le gambe erano avvolte da pantaloni larghi verde militare.

Risalii verso il suo petto e ci ritrovai la catenina con il DNA, mentre qualche ciuffo di capelli corvini era sfuggito dal berretto grigio che faceva risaltare ancora di più il colore delle sue iridi. 

Proprio mentre gli fissavo le ciglia lunghe e nere, mi accorsi di una piccola chiazza violacea attorno allo zigomo destro. L'ubriacone non l'aveva sfiorato, perciò doveva essersela procurata in un altro modo. 

«Hai finito di rifarti gli occhi o vuoi che rimango in posa un altro po'?», mi chiese in tono canzonatorio e con un sorriso sornione stampato in faccia. 

Perché aveva il magico potere di farti pensare che era affascinante da morire, ma poi apriva quella bocca e annullava qualsiasi pensiero lontanamente positivo su di lui? 

«Non ti esaltare troppo, stavo solo guardando il tuo livido. Ora capisco tutta questa spavalderia, chissà a quante risse avrai dato inizio...» 

Lasciai la frase in sospeso perché non mi stava ascoltando. Sospirò sprezzante, prima di iniziare a trafficare nelle tasche del giacchetto. Tirò fuori una cartina e iniziò a sbriciolare al suo interno un po' di erba e tabacco. 

«E la tua amichetta dove l'hai lasciata?», domandai non riuscendomi a trattenere.

Inclinò la testa verso l'alto, mentre rollava con entrambe le dita. «Quale delle tante?»

Spalancai la bocca, interdetta. «Scusi Signor Sultano, non pensavo avesse un harem.»

«Scuse accettate.»

La risposta è negli aromiWhere stories live. Discover now