2. Caffè appena t̶o̶s̶t̶a̶t̶o̶ bruciato

796 82 473
                                    

«Valeria, il caffè! Lo stai bruciando.»

Sollevai gli occhi dallo smartphone al grido funesto di mia madre. Schizzi di liquido nero fuoriuscivano dalla moka fumante, riversandosi sulla povera e vecchia macchina del gas. Afferrai in fretta la caffettiera e la scansai dal fuoco.

«Ma che hai? Non ti ho mai visto così distratta», rincarò la dose spegnendo il fornello e pulendo qualche goccia con una pezza da cucina.

Tornai a sedermi al tavolo da pranzo, dove avevo lasciato il libro di Linguistica Generale. Lo riaprii nella convinzione di rimettermi a studiare per l'esame che avrei dovuto affrontare di lì a qualche settimana.

«Sono solo stanca», le risposi io sintetica e gettando uno sguardo allo schermo del telefono. Avevo volutamente evitato di rendere nota la reale fonte di tutta quella distrazione: il ragazzo di Tinder con cui avevo iniziato a chattare da quella mattina ininterrottamente e che mi aveva appena chiesto che cosa ci facesse una romana sulla costa abruzzese.

Mia madre si versò un po' di caffè nella tazzina. Dopo averlo appena odorato scoppiò in una smorfia di disgusto, poi si rivolse a me: «Comunque sarebbe meglio se tu ti sforzassi di fare meno tardi la sera, altrimenti arriverai impreparata il giorno dell'esame.»

Rachele, la madre più ansiosa e pretenziosa a questo mondo. Non vi era stato un momento nella mia vita, dall'asilo fino alle superiori, in cui lei non si fosse preoccupata di farmi avere i libri di testo sempre ben foderati, i quaderni in ordine e l'astuccio rigorosamente stracolmo di diverse tipologie di bic. Un armamento che avrebbe fatto invidia perfino ai negozi di cancelleria più riforniti.

Era sempre stata attenta a ogni minimo dettaglio, forse perché si era pentita di aver mollato l'Università quando le mancavano pochi esami alla laurea in Biologia.

«Perché non continui a fare la tua bella Settimana enigmistica?» la canzonai io indicando il giornalino delle parole crociate sopra alla credenza vecchia e tarlata.

D'altronde quel mobile, insieme al resto dell'arredamento, doveva avere come minimo sessant'anni. Esisteva già quando la casa era stata acquistata dai miei nonni negli anni '70-'80, ma un po' per attaccamento emotivo e un po' per mancanza di soldi avevamo evitato di disfarcene.

«E poi siamo in vacanza. Che vacanza è se la passo tutto il tempo a studiare» aggiunsi, disegnando svogliatamente un pallino sulla pagina che spiegava la differenza tra fono e fonema.

Mamma mi fulminò e il grigio dei suoi occhi si fece un po' più profondo. Poi si avvicinò alla lavatrice, incastrata in maniera spartana tra il lavandino della cucina e la credenza.

«Mi sono bloccata sul cruciverba di Bartezzaghi», e prese a tirare fuori i panni puliti dall'oblò evitando volutamente di tornare sull'argomento "studio matto e disperatissimo".
«È troppo difficile. Sembrano giochi di parole scritti sotto effetti di acidi», si lamentò subito dopo.

«Non ci crederai mai, ma esistono delle scatolette chiamate cellulari che hanno una connessione a Internet e ti permettono di cercare le soluzioni senza scervellarti.»
Le sventolai sotto gli occhi lo smartphone ridendo sotto i baffi e lei indietreggiò con aria scocciata. Poi cominciò a sistemare la cesta colma di panni sulla tavola.

«E che gusto c'è a barare?»
Le sue dita correvano alla ricerca di qualche calzino spaiato.
Aveva una pelle di porcellana, talmente liscia e candida che a volte istillava il dubbio che fosse realmente una donna mediterranea. Dava più l'idea di essere norvegese o svedese.

«È come se il Cappellaio Matto avesse rivelato ad Alice le somiglianze tra un corvo e una scrivania» aggiunse, citando il famoso indovinello di Alice nel paese delle meraviglie. «Lei non avrebbe pazientato cosí tanto pur di sapere la risposta.»

La risposta è negli aromiWhere stories live. Discover now